“Nella sinodalità del cammino la gioia di annunciare e vivere il Vangelo in questo nostro mondo”

Oltre 1.500 persone si sono ritrovate lunedì 14 ottobre insieme al vescovo Tomasi per l’apertura del nuovo anno pastorale diocesano. Il Vescovo ha invitato a vivere alcune particolari virtù, in una sinodalità che ci coinvolge tutti come “santo popolo di Dio in cammino”.

“Il Cammino Sinodale ha messo in moto molti processi – ha ricordato mons. Tomasi – ha coinvolto molte persone, e questo sta portando frutti”. Un coinvolgimento, hanno annunciato il Vescovo e mons. Salviato,
che si allargherà ulteriormente, nelle Collaborazioni e nelle parrocchie, a tutti gli operatori pastorali.

Pubblichiamo l’intervento del Vescovo:

agenzia fotofilm treviso apertura anno pastorale a san nicolò

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“Questa sera, per questo mio primo intervento in occasione dell’apertura dell’anno pastorale, intendo farmi guidare da un passaggio della seconda lettera di Pietro che abbiamo appena ascoltato. La Parola sia lampada ai nostri passi, luce sul nostro cammino.

Il testo ci dice:

“Per questo mettete ogni impegno per aggiungere

alla vostra fede la virtù,

alla virtù la conoscenza, 

alla conoscenza la temperanza,

alla temperanza la pazienza,

alla pazienza la pietà,

alla pietà l’amore fraterno,

all’amore fraterno la carità.

Questi doni, presenti in voi e fatti crescere, non vi lasceranno inoperosi e senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo”. (2 Pietro 5,8)

Partiamo dalla fede, dal nostro affidamento al Signore Gesù, e “rimettiamo ancora una volta a fuoco la persona di Gesù e l’incontro con lui.” (Gianfranco Agostino Gardin, Per una Chiesa in cammino. Lettera pastorale, Treviso, 2018)

Il testo prosegue: Per questo mettete ogni impegno (cura) per aggiungere

…alla vostra fede la virtù…

L’etica della – o delle – virtù è una risposta adeguata e credo anche necessaria alle esigenze del nostro tempo; non tanto per costruire sistemi normativi dettagliati che possano permetterci di affrontare ogni situazione con indicazioni chiare e distinte, ma piuttosto per la formazione di persone che siano esse stesse soggetti e principi di vita buona, attori della vita comunitaria – ma anche sociale politica ed economica – capaci di “lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda” (LS, 217). A partire dalla fede, annunciata, trasmessa, celebrata, vissuta, le nostre comunità si manifestano sempre di più come quel “santo popolo fedele di Dio” di cui il Concilio Vaticano II ha tratteggiato gli elementi costitutivi e che papa Francesco mette al centro del suo messaggio e della sua azione. Insieme le persone si mettono in cammino, insieme si prendono cura gli uni degli altri, per accompagnarsi, sostenersi, consolarsi in questo cammino di crescita e di sevizio, alla Chiesa e a tutta la società. Insieme responsabili del bene donato dall’incontro personale e comunitario con il Signore Gesù siamo in cammino per donare a nostra volta il bene che abbiamo ricevuto e che fonda la nostra stessa esistenza.

…alla virtù la conoscenza…

Questo percorso virtuoso rimane però velleitario se non ci attrezziamo a mediare con strumenti conoscitivi semplici ma adeguati tra i contenuti e l’esperienza comunitaria della fede e le situazioni della storia che ci troviamo a vivere, che sono spesso complesse, non di rado contraddittorie, e che sempre richiedono risposte appassionate, sì, ma soprattutto competenti. Il cammino sinodale ha messo in evidenza il metodo ecclesiale del vedere – giudicare – agire: ricordo per la sua sapiente applicazione che più che di un metodo si tratta di un atteggiamento di fondo, le cui dimensioni fondamentali sono l’attenzione ai dati che si presentano alla nostra attenzione, e che dobbiamo essere capaci di cogliere; l’intelligente ricerca dei nessi e delle relazioni possibili tra eventi, spesso così differenti e apparentemente distanti tra loro da renderne difficile la scoperta; il giudizio sulla validità delle ipotesi di spiegazione raggiunte, che possono essere anche molteplici: dobbiamo accettare la fatica di confrontarci sulle differenti soluzioni proposte, per convergere su quelle che più di tutte si dimostrano adeguate a far presa sulla realtà; l’agire responsabile a partire da ciò che abbiamo riconosciuto insieme come valido e vero, adeguato ed opportuno.

…alla conoscenza la temperanza

La sapienza anche solo provvisoriamente raggiunta nel processo di discernimento personale e comunitario passa poi per la temperanza, virtù cardinale che permette di godere dei beni ricevuti, di ogni tipo, sena che questo conduca a un uso smodato delle risorse, ad una relazione di sfruttamento nei confronti delle cose e soprattutto delle persone, ma invece ad una generale sobrietà nelle relazioni che rende significativi e belli tutti i rapporti, feconda la attività pastorale, gioiosa la testimonianza della fede.

…alla temperanza la pazienza

È questo un atteggiamento molto importante: la pazienza! Che è la capacità di stare nelle situazioni, di non rifugiarsi in un altrove che magari si desidera, ma che non esiste, se non in alcune teorie. È anche l’attesa speranzosa, quella che sa vedere pur nelle difficoltà il molto bene seminato e che sta già germogliando, nella logica che nel Signore innalzato sulla croce ci fa guardare in alto, spinti dalla potenza del Risorto glorificato proprio su quella croce. Non rassegnazione dunque, ma accettazione del presente in cui già traspare la forza di novità donata dal Signore Gesù. Il cammino sinodale ha messo in moto processi, ha coinvolto molte persone, sta portando frutto: se accettiamo di non volere tutto subito e continuiamo a coinvolgere sempre più persone in questa conversione pastorale vedremo i frutti giungere a maturazione.

È pazienza che vi chiedo anche nei miei confronti: non sono in grado, lo capite bene, di dare indicazioni programmatiche, di esprimere valutazioni su direzioni certe che il cammino della nostra chiesa dovrebbe intraprendere. Dopo una settimana appena – e che settimana! – sarei stolto a pensare qualcosa del genere.

La sinodalità del nostro cammino di Chiesa è meta e strumento al tempo stesso – questo lo posso però dire – e deve essere punto di non ritorno. Non tanto e non certo per quanto riguarda le strutture sinodali – che continueranno fintantoché saranno aiuto e sostegno per rinnovare le forme della collaborazione ordinaria a tutti i livelli – quanto piuttosto nel camminare insieme come santo popolo fedele di Dio, in un atteggiamento di ascolto, di dialogo, di condivisione, consapevoli che in questo continueranno ad esserci guida i principi che papa Francesco dona alla Chiesa nella Evangelii Gaudium: “Il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte (EG, 221-237).

…alla pazienza la pietà…

In questo cammino scopriremo quali forme concrete dovrà assumere proprio la pietà, ovvero il giusto rapporto con Dio e degli uomini e delle donne del nostro tempo tra loro, in “quell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” di cui la Chiesa, secondo la Costituzione Lumen Gentium, è “in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento” (LG, 1). Assumendo il passo gli uni degli altri – pazienti i più veloci, solleciti i più lenti – ci verrà donato di vedere il bene già presente, di desiderare e di compiere il bene possibile ed ancora da realizzare, nell’orizzonte non solo delle singole comunità, ma dell’umanità intera. La pietà è anche fondata sulla compassione, sulla capacità umana di lasciarsi ferire dal destino, dalle sofferenze, dai bisogni di tutti i nostri compagni di viaggio, e di far spazio al grido dei poveri e della terra.

…alla pietà l’amore fraterno…

Sapremo allora aggiungere la dimensione della fraternità, il dono che la paternità universale di Dio ci fa’ di essere e di coglierci come fratelli ed amici e di ricostruire quotidianamente i vincoli che ci uniscono, nella comunità cristiana, a servizio di quell’amicizia civile che il Compendio della dottrina sociale della Chiesa ci consegna come il campo “del disinteresse, del distacco dai beni materiali, della loro donazione, della disponibilità interiore alle esigenze dell’altro” (CDSC, 390).

…all’amore fraterno la carità…

E a questo punto scopriremo che all’opera non sono le nostre capacità, i nostri piani, i nostri progetti, che non inseguiamo una costruzione fatta a tavolino, non lo sforzo di persone anche animate da buona volontà e buoni sentimenti, ma l’amore di Dio, l’agape, Dio stesso.

Ricordo in proposito le parole di papa Benedetto, nell’enciclica Deus Caritas est: “«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: «Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto».”

La Parola ci ha condotti, dunque dalla fede all’amore, facendoci passare attraverso tutta l’esperienza passata, presente e futura della Chiesa di Dio che è in Treviso. Potremmo fare anche il percorso inverso, dall’amore alla fede, e in mezzo sempre noi. Ciascuno, ciascuno, i singoli, ogni comunità, ogni parrocchia, ogni collaborazione, ogni vicariato; gli ordini religiosi, gli istituti di vita consacrata, le associazioni, i movimenti, tutti siamo racchiusi in questa dinamica di uscita da noi stessi, dalle nostre abitudini e dalle nostre paure, ciascuno con la sua specificità, tutti insieme come popolo in cammino. In cammino, appunto. La sinodalità del cammino sarà questa esperienza che non inizia ora, che coinvolgerà sempre più persone e realtà, che ci farà sperimentare fatiche, certo, ma anche la gioia di annunciare e vivere il Vangelo in questo nostro mondo.

La lettera che il Consiglio pastorale ci consegnerà stasera è il segno, che spero eloquente ed accolto, che il cammino continua, che la scelta chiave fatta dal cammino sinodale della “valorizzazione dei consigli pastorali” rimane indicazione di fondo che ci guiderà, anche nel cammino di realizzazione e concretizzazione delle tre scelte su cui tutti state lavorando, con impegno e competenza.

Da parte mia pongo un altro segno di impegno, di continuità e di fiducia. Sono convinto che il dono grande che ricevo nell’essere chiamato pastore della Chiesa di Treviso sia il grande patrimonio di uomini e di donne che con passione, competenza, dedizione e impegno sono in cammino. Sono grato al Vescovo padre Agostino per aver sognato, pensato ed avviato questo processo e sono grato a tutti coloro che lui ha chiamato a collaborare nel pensare ed accompagnare questo cammino. Prego tutti voi di continuare su questo percorso.

Per questo confermo il Consiglio presbiterale e il Consiglio pastorale diocesano fino alla scadenza naturale del loro mandato, e in particolare don Adriano Cevolotto come Vicario generale e don Mario Salviato come Vicario episcopale per la pastorale. Ringrazio tutti i collaboratori a tutti i livelli, per il loro prezioso e competente aiuto.

Carissimi, vi ringrazio per la disponibilità a questo non facile servizio: la Scrittura ci assicura: “Questi doni, presenti in voi e fatti crescere, non vi lasceranno inoperosi e senza frutto per la conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo”.

(Diocesi di Treviso)

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