omelie Vescovo – Prima domenica di Quaresima

Nella tradizione della Chiesa la Quaresima è sempre stata pensata e prospettata come un tempo di conversione propiziata da opere di penitenza e di astinenza. Astinenza come astensione ovviamente dalle opere del male o, eventualmente, dai cibi grassi. Oggi potremmo dire astinenza dall’uso di internet, almeno quello smodato. Mai avremmo pensato che le tre regioni interessate, tra cui il Veneto, sarebbero state costrette all’astensione dalla celebrazione dell’Eucaristia, persino domenicale, con la presenza dell’assemblea. Tra i danni, incalcolabili, del coronavirus va considerato anche questo, che non è più lieve rispetto a quelli che riguardano la salute e l’economia. Tristissimo evento, imprevedibile, di cui auspichiamo una rapida e seria soluzione.

Sulla scorta del Vangelo appena proclamato, e che intendo mettere a tema della mia omelia di questa sera, rispetto alle altre due letture da me commentate nella messa di ieri sera, potremmo considerare anche questa pesante situazione di pestilenza virale come una prova, che ovviamente non è mandata da Dio, ma è causata dalla natura nel suo tratto di matrigna e dall’imprudenza umana.

L’evangelista Matteo ci presenta Gesù come il paradigma, l’esempio al superlativo, di come si affrontano le prove della vita, dentro le quali sempre si insinua satana con le sue insidie, le sue lusinghe e le sue suggestioni per crearvi un habitat predisposto alle sue seduzioni ed entrarvi da despota e da vincitore. Non a caso l’evangelista evidenzia il fatto che Gesù è stato sospinto nel deserto per affrontare le sfide di satana, il maligno, dallo Spirito Santo. In tal modo Gesù appare come l’atleta dello Spirito. Sia chiaro che le prove per un atleta non sono una tentazione da evitare, ma una opportunità straordinaria per dimostrare il proprio valore agonistico, pur nella consapevolezza degli ostacoli che, insinuandosi nell’animo, tenderebbero a scoraggiarlo, come una eventuale stanchezza, paura, sfiducia dell’ultimo momento.

Ecco dunque Gesù, l’atleta dello Spirito, sottoposto nella sua umanità come tutte le persone umane e a nome loro alla vita come prova. Prova di fedeltà a Dio, ad ogni costo o di cedevolezza alle lusinghe del maligno. Siamo chiamati a scegliere con chi stare, con chi condividere la vita: con Dio o con satana! Ho precisato che l’intera vita, nei suoi vari risvolti e nella sua durata, è una prova. Le tre prove segnalate dai sinottici nei riguardi di Gesù sono esemplificative e rappresentative. La prima: come uomini siamo chiamati a decidere se impostare la vita sulla sola dimensione corporea dell’uomo, con le sue esigenze, o sull’interezza dell’essere umano, come segnala l’apostolo Paolo nella lettera ai Tessalonicesi: “Tutto ciò che siete voi (tutta la vostra persona), spirito, anima e corpo” (1 Ts 5, 23). La questione è discriminante. Se l’uomo è solo materia, un ammasso ordinato di cellule biologiche, gli basta il pane e tutto ciò che assicura sazietà al corpo. Di conseguenza, tutto viene finalizzato esclusivamente alla cura del corpo. Alla salute in primo luogo. Che ovviamente ha una sua importanza, per il fatto che l’uomo è anche corporeità, di cui è una dimensione, come ha precisato san Paolo. Ma la persona umana è anche anima, cioè un insieme di facoltà conoscitive e volitive che hanno bisogno di nutrirsi di Verità. Ecco perché Gesù precisa che l’uomo non vive solo di pane materiale, ma anche del pane della Parola di Dio. San Paolo indica una terza dimensione dell’uomo, il suo spirito, la sua capacità cioè di essere relazione, tipica dell’Essere di Dio, Relazione assoluta. Sant’Agostino, commentando il Padre nostro, nella sua espressione “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, mette in risalto il pane di cui l’essere umano ha bisogno per vivere le relazioni con se stessi, con l’uomo, con la natura e con Dio Mistero di amore Trinitario: l’Eucaristia, che già al suo tempo si celebrava quotidianamente in molte diocesi. Ecco la totalità dell’uomo, l’uomo olistico, per dirla in termini tecnici. Ecco i tre pani di cui ha necessità vitale. Da che parte ci schieriamo? Dalla parte dell’uomo ad una dimensione come insinua satana o dalla parte dell’uomo completo, quello del progetto originario di Dio, che richiede attenzione, anche superiore, a pani adeguati? Chi si nutre anche del pane della Parola e dell’Eucaristia è in grado di passare dal sistema di vita improntato sul materialismo ideologico a quello imperniato sull’antropologia teologica. Lascia dunque alle spalle una cultura materialistica della vita, dove tutto è governato dall’istinto, compreso l’amore e l’affetto identificati come puri impulsi di natura fisiologica e psicologica, per cui tutto è lecito, compreso il lasciarsi prendere dalla smania della libidine sessuale, o cambiare con disinvoltura una serie di partner con cui convivere come forma alta della modernità, cioè del vivere sociale dell’oggi mondanizzato. Ed abbraccia la cultura della fedeltà al proprio essere, al coniuge, agli impegni e ai patti stabiliti, a Dio. A noi la scelta, tra quella scivolosa e buon mercato suggestionata da satana o quella più esigente ed umanizzante, indicata da Dio.

Una seconda prova. Quella della gloria. La gloria, cioè la pienezza di essere, è proprietà di Dio. Ma l’uomo mira ad impossessarsene. Entrare nell’olimpo degli dei, vivere di applausi, senza subire critiche, crearsi il mito della propria vita da consegnare ai media e da tramandare ai posteri! Ecco l’ideale della vita Dio ne resta escluso. L’uomo faber fortunae suae: l’uomo costruttore della propria fortuna. Poi per tutti giunge, anche quando uno meno se l’aspetta, il momento di essere buttato fuori scena. Di non contare più nulla nel teatro della mondanità. Esce di scena da sconfitto. Vale la pena di inseguire questa deludente libidine della gloria, gregari di satana, che cerca di svuotare l’interiorità dell’uomo per idolatrare le apparenze e il consenso della gente, paghi solo dei propri ammiratori, i fans, i follwers?

Infine, la terza prova, che condensa una serie di prove concentrate nell’interrogativo: lo scopo della vita è dominare o servire? Il dominare è figlio della superbia. Il servire è frutto dell’umiltà. Sono due culture di vita. A onor del vero è difficile sottrarsi alla libidine del potere, di esercitare in qualche modo il dominio su altre persone. È un istinto che ha la sua matrice nel peccato originale: assoggettare gli altri a sé, e non essere assoggettati a nessuno, tanto meno a Dio! Salvo lasciarsi assoggettare a satana e alle sue logiche perverse, compresa quella della ricerca pruriginosa di un po’ di auto infatuazione e di auto adorazione. Dio solo invece va adorato. E nell’adorarlo, riconoscendolo come nostro Creatore, fonte del nostro essere, altro non facciamo se non il nostro bene. Del resto, come precisa sant’Agostino, Lui stesso, nella persona del suo Figlio Gesù, ci fa vincitori delle prove travagliate della vita nei confronti di satana.

In conclusione, sentiamo che ci preme una domanda: “Cosa vorrà dirci Dio in questa prova del coronavirus?”. Forse un giorno ci sarà dato di decodificarne il messaggio. Tento di entrare nella sua logica di bene, che sa trarre anche da situazioni di sofferenza e di male. Anzitutto questa prova suona come invito a ricercare per prima cosa l’essenziale, dichiarando relativo ciò che è relativo, senza farne una tragedia se viene a mancare: la salute, ad esempio, è più importante dell’accumulo di denaro e del successo; ma l’Assoluto rimane Dio. In secondo luogo richiama al senso dell’umiltà che ci libera dalla smania di montarci la testa per minuti o grossi successi. Su un ulteriore possibile obiettivo potrebbe provocarci: tenere monitorato, facendone forte coscienza collettiva, a tutta l’umanità, e in particolare ai Capi di Stato, il fatto che l’umanità sempre più ha un unico e medesimo destino. E che le criticità economico finanziarie, sanitarie e sociali hanno ricadute dovunque con effetto domino. Non è più pensabile una umanità divisa in villaggi, separati da staccionate irrisorie. Non c’è dubbio che tutto ciò si fa grido forte a rimettere nelle mani dell’ONU il compito di governare i governi, per garantire una equità globalizzata. Infine sollecita la disponibilità a divenire collaboratori di Dio nel governo del mondo e della sua storia di globalizzazione, secondo i suoi parametri, senza mai tramutarsi in arroganti suoi antagonisti. L’uomo da solo, lasciando Dio in esilio dalla sua vita di tutti i giorni, è a rischio di prepararsi la propria distruzione, la propria infelicità. Solo con Dio la storia ha un futuro di speranza. Per questo siamo decisi a compiere l’intero itinerario quaresimale che ci attende con la serena fiducia che tutto Dio sa volgere al bene di coloro che si fidano di Lui.

 

X Giuseppe Zenti

 

Vescovo di Verona

(Diocesi di Verona)

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