Vocazione: giovani immersi nella vita quotidiana

In queste settimane di prolungata vita fraterna con i giovani della Comunità Vocazionale, mi sono chiesto quale possa essere, sulla vita di un giovane in ricerca vocazionale, l’impatto di ciò che sta avvenendo nel mondo, relativamente al Covid-19. I giovani, che di per sé sono abituati alla dinamicità e alla ricerca di nuove relazioni, si sono trovati all’improvviso a fare i conti con una sorta di “sospensione o rallentamento nella marcia verso il raggiungimento dei propri traguardi”: penso a chi è stato costretto a posticipare la data del matrimonio, della consacrazione, dell’ordinazione sacerdotale, o a chi si è trovato senza lavoro. La generazione dei giovani, che per natura è animata da una forte componente ideale, plana su una realtà che non solo è superiore all’ideale, ma è altresì una realtà forzata e opaca: relazioni limitate con i coetanei e con le persone che si amano, impossibilità a frequentare le aule universitarie costringendosi a stare ore davanti al pc, chiusura dei pub e bar che per un giovane sono luoghi di aggregazione, convivenza prolungata con i familiari con i quali si erano persi i momenti di dialogo e di confronto.

Tempo di grandi domande

È facile cedere alla rassegnazione, come pure è facile rimuovere la realtà con un ottimismo a buon mercato, ripetendo, senza grande consapevolezza, “andrà tutto bene”.
I giovani hanno molte risorse nascoste e non sono sprovveduti nel cogliere che la situazione attuale possa rivelarsi feconda per la propria vita. Non è vero che per un giovane il futuro si presenti solo incerto e cupo, caratterizzato dall’insicurezza e da un esasperato individualismo.
Proprio ciò che stiamo vivendo può obbligarli ad «attraversare una sorta di disincanto» e prendere coscienza che nessun successo professionale o traguardo esistenziale soddisfa la sete di vita, di pienezza, di eternità che ogni persona porta nel suo cuore.

Appello alla libertà

Da questo coronavirus, di cui sappiamo ancora troppo poco, può nascere per un giovane la spinta a porsi gli interrogativi seri della vita, a dare un ritmo al tempo, ad abitare il presente da responsabili del bene comune. Da questo tempo di grandi dubbi e poche risposte può generarsi una spinta a una ricerca più profonda della propria autenticità e della propria vocazione. Certo, non è automatico che ciò accada, perché la situazione è ancora in divenire e perché di mezzo vi è sempre la libertà del giovane. Tuttavia i giovani, interpellati dalla realtà sociale, chiedono a noi adulti e più in generale alle comunità cristiane, di essere stimolati e accompagnati a riconoscere i segni che lo Spirito indica per il cammino della loro vita e per la loro risposta vocazionale.

Abitare la propria interiorità

Anzitutto possiamo aiutare le generazioni più giovani a prendere confidenza con il proprio mondo interiore e a coltivare la propria interiorità, a muoversi dentro al guazzabuglio del proprio cuore, lì dove Dio rivolge la sua parola di Risurrezione.
In questo stravolgimento che la pandemia sta causando, al credente viene offerta l’opportunità di abitare la solitudine, di non prendere paura del vuoto, perché le grandi scelte vocazionali della vita e le varie forme di solidarietà tra le persone nascono in chi è capace di fare silenzio e di intraprendere il viaggio dentro se stesso. Nell’esperienza spirituale cristiana, l’interiorità a cui conduce il rientrare in se stessi è percepirsi creature di Dio, figli di Dio, generati e amati da un Padre dal quale tutto riceviamo e al quale tutto siamo chiamati a restituire.

Dono di sé

Il secondo appello per questa Giornata mondiale di vocazione è quello di lasciarci provocare, nel desiderio del dono di sé, dalle testimonianze di uomini e donne che, nell’emergenza del virus, hanno donato la vita fino a morire. Penso ai tanti medici, personale sanitario, ai tanti sacerdoti e alle religiose morti nella fedeltà al proprio lavoro e alla propria vocazione.
Sono i testimoni che la vera vita è sempre e solo quella donata, non trattenuta, testimoni di una fede in atto che si realizza nel servizio della carità.
Possiamo aiutare i giovani ad alzare lo sguardo su questi testimoni dell’amore, e provocarli rispetto ad una vita che trova senso non nella ripetizione di schemi precostituiti, ma nella libertà di donare la propria vita per amore, che neppure l’isolamento del virus può fermare.
Con questo spirito vogliamo celebrare domenica 3 maggio la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, attivando percorsi di creatività nella prossimità e aiutando i giovani ad ascoltare, nella propria cella interiore, la voce seducente di un Dio, amante della vita, che chiede di donare se stessi.
Una Chiesa che, come ricorda il Papa nel suo messaggio per questa giornata, è invitata a “percorrere questo cammino a servizio delle vocazioni, aprendo brecce nel cuore di ogni credente”.
don Giancarlo Pivato
direttore Centro diocesano vocazioni

(riflessione pubblicata nel numero in uscita della Vita del popolo di domenica 3 maggio)

(Diocesi di Treviso)

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