
Ricordando quando Gesù, figlio di un falegname, e falegname a sua volta, parla del Regno del Padre, il Vescovo ha messo in luce che “lo fa con le meravigliose parabole di chi sa osservare e conosce dal di dentro la fatica e anche la soddisfazione del lavoro e dei lavoratori: c’è il seminatore, il bracciante, il mercante di perle, il portinaio, il fattore, la donna di casa che impasta la farina. Si usano ricchezze, si ricevono talenti da investire, si costruiscono granai e torri, si cuce e si fila. E l’opera dei discepoli che annunciano il Vangelo, che guariscono e liberano coloro ai quali essi sono inviati, compiono un’opera che assomiglia a quella di tanti lavoratori: l’aratore, il seminatore, il mietitore, il pastore, il pescatore; come tutti costoro si attende un salario e cerca un premio per le proprie fatiche”.
“Senza conoscere il mondo del lavoro non conosceremmo nulla dell’amore e della grazia di Dio, non avremmo nessuna immagine e nessuna esperienza per conoscere qualcosa del Regno di Dio – ha sottolineato mons. Tomasi -. Ma senza cercare davvero il Regno di Dio, senza mettere Dio, Gesù, al centro della nostra vita e del nostro amore, il lavoro rimane luogo di alienazione, di sfruttamento, di violenza, di radicale contraddizione, perché ci illudiamo di poter costruire ciò che invece solo ci viene donato, e solo può essere ricevuto in dono: Dio stesso, Dio amore misericordioso infinito e senza limiti, senza condizione alcuna. Gesù, che ha davvero lavorato con mani d’uomo, ci dà la giusta prospettiva per vivere il lavoro nella sua dimensione di liberazione, di vita e di salvezza. Il lavoro umano partecipa alla creazione di Dio non se genera successo, se è gratificante o se porta a guadagno, ma se è vissuto in piena comunione con Cristo Gesù, il “figlio del falegname” se si lascia motivare dal Vangelo di Cristo, se è mosso in primo e principale luogo dalla ricerca del Regno e della sua giustizia”.
E riferendosi ai tanti problemi che toccano il mondo del lavoro, dalla piaga degli incidenti alla dignità del lavoro, il Vescovo ha sottolineato: “Che il lavoro sia sicuro e si possa svolgere in sicurezza, dignitoso, libero, diffuso dovrebbe essere la condizione ovvia, preliminare e minima affinché possa essere generativo di relazioni buone e partecipazione più consapevole all’opera della creazione. Si tratta, invece, di condizioni ancora da raggiungere, condizioni la cui negazione non può lasciare nessuno indifferente”.
A conclusione, la citazione del documento della “Commissione episcopale per la Pastorale sociale, del lavoro, giustizia e pace”, “Il lavoro, un’alleanza sociale generatrice di speranza”, 2025: “La tutela, la difesa e l’impegno per la creazione di un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, costituisce uno dei segni tangibili di speranza per i nostri fratelli, come Papa Francesco ci ha indicato nella Bolla di indizione dell’Anno giubilare (cf. Francesco, “Spes non confundit”, 12)”. “Ecco un segno ed un frutto possibile del giubileo – la sottolineatura del Vescovo -: impegnarsi per un lavoro a servizio della persona umana”.
L’omelia integrale:
10 maggio 2025
Festa di San Giuseppe lavoratore
Parrocchia San Giuseppe – Treviso
Omelia del Vescovo Michele
“Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname?”. Si stupiscono i concittadini di Gesù, dopo che tra loro aveva insegnato cose nuove, quel Vangelo di cui non riescono a capire la provenienza, che li sorprende: quella parola non può venire da così vicino, dalla loro esperienza quotidiana, non può essere pensata ed annunciata dal figlio del falegname, come dicono. Gli riconoscono sapienza, riconoscono addirittura che egli compie prodigi. Ma non può essere che uno di loro, uno “normale” di loro possa essere autore di qualcosa di così inaspettato. Un messaggio nuovo deve provenire da una fonte eccezionale, almeno deve essere ammantato da un’aura di mistero. Non può essere un lavoratore come loro (il Vangelo di Marco lo definisce direttamente «falegname»), un figlio di lavoratore.
Ma se proviamo a osservare questo episodio quasi da “esterni”, possiamo riconoscere, assieme agli abitanti di Nazaret, che dalle situazioni della nostra vita, da sole, non vengono necessariamente grandi cose. Molte azioni o scelte possono essere abitudini, molte possono anche essere mosse da motivazioni piccole, limitate, meschine alle volte anche mosse dal peccato, senza riuscire in nulla a contribuire al bene proprio o altrui. D’altro canto, per molti un intervento di Dio deve essere nel campo dello straordinario, dell’inaspettato, in qualcosa che va decisamente al di là dell’esperienza quotidiana, che a sua volta deve seguire le sue regole e le sue leggi e non può discostarsi da esse.
Ma l’esperienza dice altro: dice che Gesù parla con sapienza, ed opera prodigi. Ma a fare questo è proprio Gesù, il figlio del falegname, quello di cui conosciamo i parenti, di cui sappiamo dove abita, come lavora, come vive.
È proprio Gesù di Nazaret – ed anche, dunque, Gesù a Nazaret – ad essere la presenza vera e viva di Dio nella storia e nelle relazioni degli uomini.
Dio entra nell’esistenza e nella vicenda umana, vi entra con tutta la sapienza, e la forza, entra con tutto ciò che è divino, con l’amore del Padre che è da sempre e per sempre.
Ma lo fa nell’esistenza quotidiana, ordinaria, feriale e lavorativa di quell’uomo Gesù. Non su di un palcoscenico, non in vicende al di fuori delle realtà, non in apparizioni di fantasmi o in eventi cosmici o sorprendenti.
Ciò è avvenuto per Gesù in maniera eminente e definitiva, unico nella storia. Ma Lui comunica questa sua presenza a tutti gli uomini e le donne, perché di essi egli ha condiviso l’esistenza in tutto (non nel peccato, nel distacco cioè dal Padre), per essi ha dato pienezza infinita, inaspettata e gratuita all’esistenza. Come ci insegna mirabilmente la costituzione del Concilio Vaticano II Gaudium et spes a proposito della Chiesa nel mondo contemporaneo:
“Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (GS, 22).
Divino e umano davvero si incontrano in profondità tra loro in Gesù. Non esiste vera rivelazione di Dio nella nostra vita al di fuori della nostra esistenza, e quindi al di fuori delle nostre attività, del nostro lavoro. Ma questi diventano pienamente umani – e quindi luogo di rivelazione autentica – soltanto quando si lasciano «trasfigurare» dalla presenza di Gesù, dal suo Vangelo, da quella novità che da soli non saremo mai in grado di generare.
Quando Gesù parla del Regno del Padre, lo fa perché lo conosce dall’eternità, nel suo rapporto di Figlio eterno con Lui, in quanto il Regno del Padre non è altro che la realizzazione piena e definitiva del suo amore. Eppure lo fa con le meravigliose parabole di chi sa osservare e conosce dal di dentro la fatica e anche la soddisfazione del lavoro e dei lavoratori: c’è il seminatore, il bracciante, il mercante di perle, il portinaio, il fattore, la donna di casa che impasta la farina. Si usano ricchezze, si ricevono talenti da investire, si costruiscono granai e torri, si cuce e si fila. E l’opera dei discepoli che annunciano il Vangelo, che guariscono e liberano coloro ai quali essi sono inviati, compiono un’opera che assomiglia a quella di tanti lavoratori: l’aratore, il seminatore, il mietitore, il pastore, il pescatore, come tutti costoro si attende un salario e cerca un premio per le proprie fatiche.
Senza conoscere il mondo del lavoro non conosceremmo nulla dell’amore e della grazia di Dio, non avremmo nessuna immagine e nessuna esperienza per conoscere qualcosa del Regno di Dio.
Ma senza cercare davvero il Regno di Dio, senza mettere Dio, Gesù, al centro della nostra vita e del nostro amore, il lavoro rimane luogo di alienazione, di sfruttamento, di violenza, di radicale contraddizione, perché ci illudiamo di poter costruire ciò che invece solo ci viene donato, e solo può essere ricevuto in dono: Dio stesso, Dio amore misericordioso infinito e senza limiti, senza condizione alcuna.
Gesù, che ha davvero lavorato con mani d’uomo, ci dà la giusta prospettiva per vivere il lavoro nella sua dimensione di liberazione, di vita e di salvezza. Il lavoro umano partecipa alla creazione di Dio non se genera successo, se è gratificante o se porta a guadagno, ma se è vissuto in piena comunione con Cristo Gesù, il “figlio del falegname” se si lascia motivare dal Vangelo di Cristo, se è mosso in primo e principale luogo dalla ricerca del Regno e della sua giustizia.
“Poiché l’operare del Cristo e dei suoi discepoli imita quello di Dio stesso (Gv 4,34; 5,17; 17,4), ecco che diventa modello ispiratore per ogni settore e modalità di prestazione umana, introducendovi in particolare il principio del «servizio» (Lc 22,26-27; Gv 13,13-17), della “gratuità” (Mt 10,8; 2 Cor 11,7), della rinuncia all’accumulo di beni (Mt 10,10), e della generosità nel far partecipi gli altri dei frutti del proprio lavoro (Mt 19,21)” (Pontificia commissione biblica, Che cosa è l’uomo? Un itinerario di teologia biblica, 136).
“La Festa dei Lavoratori, in questo Anno giubilare, vuole offrire orizzonti di speranza agli uomini e alle donne del nostro tempo, consapevoli «che il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo» (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 3)”, che è il punto di vista stesso di Gesù, maestro che ha conosciuto la fatica e la gioia del lavoro umano, e che conosce il mistero dell’amore del Padre.
Che il lavoro sia sicuro e si possa svolgere in sicurezza, dignitoso, libero, diffuso dovrebbe essere la condizione ovvia, preliminare e minima affinché possa essere generativo di relazioni buone e partecipazione più consapevole all’opera della creazione. Si tratta, invece, di condizioni ancora da raggiungere, condizioni la cui negazione non può lasciare nessuno indifferente.
“La tutela, la difesa e l’impegno per la creazione di un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, costituisce uno dei segni tangibili di speranza per i nostri fratelli, come Papa Francesco ci ha indicato nella Bolla di indizione dell’Anno giubilare (cf. Francesco, Spes non confundit, 12)” (Commissione episcopale PSLGP, Il lavoro, un’alleanza sociale generatrice di speranza, 2025). Ecco un segno ed un frutto possibile del giubileo: impegnarsi per un lavoro a servizio della persona umana.