“Tutta la Chiesa vi invia”: il mandato a sei missionari

“Noi mandiamo voi… mi sono venuti davvero i brividi quando ho pensato a questa cosa”. E’ stato un momento intenso e di forte emozione, quello del mandato missionario all’interno della Veglia di sabato 19 ottobre, nel tempio di San Francesco a Treviso. Sentimenti che hanno coinvolto il vescovo, mons. Michele Tomasi, che ha pronunciato queste parole all’inizio dell’omelia. E poi i sei “inviati”: don Mauro Montagner, fidei donum nella nostra missione diocesana di Fianga, in Ciad; padre Siro Opportuni, della Comunità di Villaregia, in Brasile, padre Danilo Benedetti, dell’Operazione Mato Grosso, in Ecuador, le sorelle Discepole del Vangelo Gianna Bordignon, Michela Simonetto e Francesca Quintè a Tirana, in Albania. Infine, i numerosi presenti alla celebrazione, compresa una bella rappresentanza di giovani.
La celebrazione aveva lo stesso titolo dato da papa Francesco al messaggio per questo Mese missionario: “Battezzati e inviati”. E proprio su queste due dimensioni si sono incentrate le due parti nelle quali si è suddivisa la veglia, con canti, gesti e simboli ricchi di significato, come l’intronizzazione della Parola con un canto e una danza della comunità ghanese.

Il Vescovo: “Una bella responsabilità”
“Ci stiamo prendendo una bella responsabilità”, ha esordito il vescovo Michele nella sua omelia. “Io per colpa vostra”, ha scherzato, facendo riferimento al suo recente ingresso e all’inevitabile mancanza di conoscenza approfondita dei nuovi missionari. Il Vescovo ha fatto riferimento all’invio come a un evento che coinvolge la Chiesa, in una sua assunzione di responsabilità: “Non siete inviati tanto da un desiderio individuale, da un ufficio, un’organizzazione, neppure dal Vescovo… No, è tutta la Chiesa, siamo noi che inviamo delle sorelle e dei fratelli a delle Chiese, ad annunciare il Vangelo”.
Mons. Tomasi ha proseguito riflettendo sull’essenza stessa della missione: “Noi facciamo nostre le sue parole, voi fate vostra la sua vita”. E ha fatto riferimento alla nostra natura di “risanati” dal nostro essere sotto il potere del diavolo, il divisore: “Dobbiamo essere quella comunità che ogni giorno si affida al Dio di tutti contro ogni divisione”. Quindi, “affidiamoci insieme al Dio dell’unità e della pace”, ha aggiunto, spiegando che la nostra responsabilità e la nostra tensione all’unità si allarga fino a coinvolgere tutta l’umanità, “anche chi non vedo”.
E’ proprio quello che afferma l’apostolo Pietro, nella lettura proclamata poco prima: “Dio non fa preferenze di persone”. Ma per capire queste parole, che pure sembrano quasi ovvie, “servono la Rivelazione e il percorso fatto da Pietro”. Dio, si legge ancora nella Lettera di Pietro, “accoglie chi lo teme e pratica la giustizia”. E’ il timore di Dio, l’essere amati da lui nonostante la nostra nullità, “Se noi siamo questa Chiesa, con timore e tremore possiamo mandarvi”, ha detto il Vescovo, che ha concluso: “Il Signore invia tutti noi” e (chiamandoli per nome) “voi, perché diventiate perdono di Cristo e per tutti noi segno e strumento della sua missione e del suo amore”.

Il momento del “Sì”
Quindi, il rito del mandato missionario, preceduto dalla testimonianza della giovane , che ha trascorso un mese in India, nel Rajasthan, dopo aver partecipato al percorso per giovani promosso dal Pime. “Un mese che mi ha cambiato – ha detto – fatto di incontri, scoperte”. Un periodo caratterizzato da piccoli gesti e attenzioni quotidiane. “Mi sono sentita amata”, ha sottolineato, spiegando anche la sua attività con i bambini e con i più poveri. “Non mi sono mai sentita straniera – ha concluso – ho visto Dio vivere nei loro occhi”.
Subito dopo, il semplice rito del mandato. Il Vescovo ha consegnato la croce ai missionari e don Mauro, padre Siro, padre Danilo, sorella Gianna, sorella Michela e sorella Francesca hanno pronunciato il loro “Sì”.
A conclusione, sono stati consegnati ai partecipanti dei semi, sia per ricordarci il rispetto per la natura, ribadito in questi giorni dal Sinodo per l’Amazzonia, sia come segno di un dono, il nostro, che deve germinare e sbocciare per la vita del mondo.
Bruno Desidera

(Diocesi di Treviso)

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