Suor Bertilla: una santità luminosa e concreta

I santi hanno capito che l’unica vera differenza non può farla la storia. Bertilla aveva compreso, e ci insegna, che la felicità vera non dipende da ciò che ci succede, ma da come decidiamo di reagire a ciò che incontriamo nel nostro quotidiano. Questo richiede una profonda libertà interiore, un vero dono della grazia che rende luminosa l’esistenza.
Bertilla, era una semplice ragazza che, divenuta donna, ha deciso con coraggio di non subire gli eventi della sua storia personale, famigliare, sociale, ma di accogliere tutto con sguardo di fede, accogliendo le circostanze con la luce della grazia. All’età di 17 anni entra nella Congregazione delle Suore Maestre di S. Dorotea Figlie dei SS. Cuori, verrà poi inviata all’Ospedale di Treviso. Bertilla farà una prima esperienza in cucina a “pelar patate”. Venuto a mancare il personale infermieristico, la suora viene poi inviata nel reparto contagi, esprimendo tutta la sua straordinaria potenza d’amore. In questo modo ha espresso tutta la ricchezza della sua vita interiore, caratterizzata anche da alcune “punte mistiche” nell’agire quotidiano, rendendo la sua vita uno strumento di luce, di pace e carità.
Basti ricordare alcuni episodi e testimonianze per capire quanta vicinanza trasmettesse. L’infermiera Dotto ricordava di averla vista tre volte piangere: “Credevo piangesse perché le era successo qualcosa di spiacevole, così una volta le chiesi apertamente il perché del suo comportamento. Mi rispose: «Non vede questi poveri feriti quanto soffrono, chi sa quanti altri ve ne sono al fronte che spargono il sangue e patiscono». Aveva l’aspetto di un angelo confortatore”. Quando per un guasto alla caldaia della cucina era mancato il riscaldamento, si era inventata un modo per soccorrere i soldati già debilitati dalla malattia. Nella notte, Bertilla rinunciando al suo personale riposo era riuscita a scaldare l’acqua in piccole pentole, ad un fuoco improvvisato in mezzo al cortile, portando poi a ciascuno una borsa d’acqua calda. E il mattino successivo, puntuale, era al suo posto di lavoro. Era davvero fatta di dolcezza e concretezza la sua santità. Evitava anche di soffermarsi sui sintomi e sulla stessa definizione delle malattie, per non impressionare i degenti. Ad esempio era solita nascondere sotto il grembiule la bombola dell’ossigeno, per non impressionare e avvilire gli ammalati. Dalle testimonianze di chi visse accanto a lei si dice che suor Bertilla accostasse ogni degente con tenera sollecitudine: “E dal modo con cui operava, si vedeva che faceva tutto per il Signore”.
Quando passava di notte, accanto ai cuori gonfi di paura dei malati, diventava una presenza rassicurante nella quale trovare conforto e speranza (cfr. Antonio Chiades, “Lasciamo fare il Signore”).
Il santo Giovanni Antonio Farina, fondatore delle suore maestre di santa Dorotea figlie dei Sacri Cuori, in una delle sue esortazioni sembra abbozzare il progetto di vita di Bertilla: “La carità affronta tutti gli ostacoli a viso aperto e non li teme. Infuri pure il contagio, la morte corra baldanzosa a mietere le vite più care e lo spavento invada tutto. La carità brilli sempre più operosa e più pura. È come angelo in mezzo all’orrore delle tenebre, è come un raggio sfavillante in un cielo nebbioso che fa scintillare la tremola sua luce e mette in fuga il buio fantasma della notte” (S. G. A. Farina, lez 2ª Carità). La vita di santa Bertilla ci provoca e ci invita a capire che la conversione è smettere di vivere per farsi vedere e iniziare a vivere per vedere tutte le cose con gli occhi di Dio, lasciando trasparire la vera luce che è Cristo.

Le celebrazioni. Le celebrazioni in occasione della memoria liturgica di santa Bertilla si terranno nella Cappella Universitaria a lei intitolata in Piazza dell’Università n. 2 a Treviso, il 20 ottobre con i seguenti orari: 10; 16; 18. Nella stessa settimana, giovedì 22 alle ore 18, sarà celebrata la messa di inizio anno accademico, per studenti e docenti, presieduta dal Vescovo Michele.

(Diocesi di Treviso)

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