Le omelie 2020 – Venuti in questo mondo per vivere nel mondo dei risorti nel Risorto

Cattedrale di Verona, 2 novembre 2020
Commemorazione dei defunti

 

Ricordo quando all’età di dieci anni m sono trovato all’ospedale di Borgo Trento colpito da pleure polmonare. Tutti i degenti, di ogni età, in una sala da trenta letti. Avevo fatto amicizia con un giovane di vent’anni, colpito da leucemia, che veniva spesso durante il giorno al mio letto, per farmi compagnia. Dopo poche notti, un urlo ripetuto all’infinito in quel camerone: “Non voglio morire!”. Era la sua voce. Straziata e straziante. Mi risuona ancora agli orecchi della memoria. È lo stesso grido di Giobbe che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno”. Può morire il corpo, ma non il proprio io, la persona che fa da soggetto anche al corpo.

L’uomo non è fatto per la morte come disintegrazione del proprio essere. Non vuole morire, nemmeno quando sta per morire. Il suo è un grido metafisico, che parte dalle profondità del suo essere. La filosofia ha tentato qualche balbettio di risposta all’interrogativo, il più esistenziale che esista e che la saggezza suscita nell’uomo nel momento in cui si fa pensoso: “Che sarà di me dopo l’ultimo respiro?”. Alla fin fine non le è rimasto che lasciarsi prendere dallo sconcerto. Solo qualche barlume di luce che fa trasparire quanto meno l’innato desiderio di non essere annientato dalla morte. Ma solo chi ha il potere di annientare la morte ci consegna il segreto del morire senza disperazione, ma aperto alla speranza. Al dire di Paolo nella lettera prima ai Corinti, con la sua morte e risurrezione, Cristo agisce nella storia dell’uomo proprio al fine di annientare la morte, con il suo potere di distruzione (Cfr 1 Cor 15,26). Del resto, Gesù stesso si è autoproclamato la vita e la risurrezione (Gv 11,25) e ha promesso che “chiunque crede in me, non morirà in eterno” (Ivi). Nel tratto del Vangelo appena proclamato, nel contesto del discorso di Cafarnao sul pane della vita, Gesù spiega che fa parte del progetto del Padre il suo agire in favore dell’uomo, per farlo vivere per sempre, non solo con la sua anima e il suo spirito, ma anche con il suo corpo risorto: “Io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,40). Lo farà cioè partecipe della sua risurrezione: “La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,20-21). In che modo? È ancora Paolo che lumeggia il mistero: “È seminato un corpo animale, risorge un corpo spirituale” (1 Cor 15,44). Non che il mistero sia squarciato, ma ci viene svelato quanto basta per tenere attivata la speranza e non siamo come coloro che non hanno speranza (Cfr 1 Ts 4,13). Il Cristiano è l’uomo della speranza, di una speranza non a corto respiro, da esaurirsi nel tempo presente, ma quella che fora la barriera della morte e sfocia nella vita da risorti, oltre il tempo. E anima della speranza è lo stesso Spirito Santo, come abbiamo sentito dalla lettera ai Romani: “La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 8,5).

So bene che proprio su questo punto la nostra fede può vacillare. Noi senza grande fatica crediamo che Dio esiste, che ha mandato a noi il suo Figlio morto per salvare noi, mentre ancora eravamo suoi avversari per il peccato, come ci ha ricordato Paolo nella seconda lettura, ma già credere che Cristo è risorto da morte ci trova alquanto spiazzati. Il nucleo però della fede cristiana che ci resta maggiormente misterioso, e ci lascia sempre un po’ dubbiosi, è la nostra partecipazione alla risurrezione di Cristo. Affermando con la Chiesa: “Vivremo da risorti in Gesù Risorto”, dietro le quinte della mente, intaccata dall’epicureismo, il pensiero ci insinua: “Sarà poi vero?”. È questo il nodo scorsoio della nostra fede. Ma è anche la vera password che ci consente di comprendere il valore e il senso ultimo del vivere umano: “Sì, vivremo da risorti, con il Risorto e con tutti i risorti in Lui!”.

Dio, in Gesù che è la personificazione della Verità, non poteva ingannarci su questo punto: sul passaggio tra il morire e il dopo morte. Se nel dopo morte ci attendesse il nulla da cui siamo stati tratti o ci attendesse una esistenza in stato di larva, con la sola anima, del tutto alienati della corporeità che comunque ci connota, tutto ciò sarebbe la sua più tragica beffa ordita dalla Verità nei confronti dell’essere umano che Dio, unico tra le sue creature, ha creato capace di intelligenza, capace cioè di verità sul suo essere e sul suo destino, anzi sulla sua destinazione finale.

In realtà, noi ci aggrappiamo con tutta la nostra fede, che chiediamo a Dio possa ardere specialmente nei momenti più travagliati, a questa certezza della fede. Di fatto, quel passaggio, che per noi è la nostra Pasqua, il passaggio d questo mondo al Padre, decide il senso dell’essere vissuti. Lì perde ogni mordente se siamo vissuti nella notorietà o nel nascondimento, nella ricchezza o nella povertà. Ciò che vale in quel momento, che verrà per tutti e per ciascuno, è l’essere trovati pronti ad entrare dalla porta giusta, quella che si schiude, si spalanca sul mondo dei risorti. Per essere nel mondo dei risorti è valso la pena di essere venuti al mondo. Il resto è illusione e miraggio.

Ci siamo radunati qui, in Cattedrale, per pregare per tutti i Defunti, per i Vescovi (ricordiamo in primo luogo il vescovo Andrea Veggio), per i presbiteri, per i consacrati e le consacrate, per i nostri Cari. Un pensiero particolare orante di suffragio lo riserviamo per quanti sono deceduti quest’anno in incidenti sulla strada e sul lavoro e, con straordinario senso di solidarietà spirituale, per i deceduti a causa del Covid 19, nell’angoscia e nella forzata privazione degli affetti famigliari.

Invochiamo concordi la divina misericordia per loro e per noi. Per l’intercessione della Vergine, Madre di Misericordia. 

X Giuseppe Zenti

Vescovo di Verona

(Diocesi di Verona)

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