Politica e stregoneria dietro la morte di Olga Raschietti

L’omicidio della missionaria vicentina suor Olga Raschietti e delle sue consorelle avvenuto in Burundi nel 2014 è stato attribuito ad un malato psichiatrico, ma la verità sarebbe più complessa e tira in ballo politica e stregoneria. È quanto sostiene la giornalista bresciana Giusy Baioni nel suo libro “Nel cuore dei misteri. Inchiesta sull’uccisione di tre missionarie nel Burundi delle impunità”, un voluminoso e dettagliato lavoro giornalistico di ricerca e di verifi ca delle fonti, uscito lo scorso ottobre, che ricostruisce le circostanze e le motivazioni che hanno portato alla morte delle tre religiose.

Giusy, dell’omicidio delle tre religiose si è parlato a lungo sui media occidentali sia per l’età delle vittime che per l’efferatezza dell’omicidio. Subito il presunto colpevole è stato arrestato e incarcerato. Cosa ha fatto “riaprire” il caso?

«Come giornalista freelance mi occupo da una ventina d’anni della regione africana dei grandi laghi e anche per questo mi ero presa a cuore la vicenda. È stato impossibile andare oltre le prime ricostruzioni fino al 2015, quando una radio locale ha mandato in onda la voce di un uomo, anonimo, che affermava di essere il killer delle missionarie. Poco tempo dopo è stata messa in onda la testimonianza di un altro uomo che a sua volta affermava di essere uno degli esecutori dell’omicidio. I due affermavano di aver ricevuto l’ordine da quello che all’epoca era il capo dei servizi segreti burundesi (in seguito morto assassinato). Mi sono messa al lavoro e sono riuscita a rintracciare altri due “killer”. Uno di questi mi ha lasciato una testimonianza scritta confermando la versione dei primi due. Non solo, il capo dei servizi segreti avrebbe, ma qui il condizionale è d’obbligo, agito con il consenso dell’allora presidente della repubblica del Burundi, anche lui morto».

Perché tre missionarie anziane avrebbero dovuto finire nel mirino dei servizi segreti?

«Ho vagliato varie ipotesi che erano circolate in quel periodo, come quelle per cui le tre saveriane sarebbero state pronte a denunciare un traffico di armi e minerali o l’addestramento di truppe paramilitari oltre il confine, in Congo. Ipotesi che non hanno retto alla prova dei fatti, e anche inverosimili per la stessa missione pastorale che le tre svolgevano nella parrocchia di Kamenge, a Bujumbura. Nemmeno l’accusa di aver offerto delle cure a dei guerriglieri ha retto».

Quindi dove va cercato il movente dell’omicidio?

«Con molta fatica, insistendo, garantendo l’anonimato a fonti verificate, per capire quello che è emerso come probabile movente bisogna fare riferimento a cultura e credenze locali: una sorta di rito sacrificale. La ricostruzione non è sostenuta solo dai fatti, ma nel modo brutale in cui sono state assassinate le tre saveriane. Nel libro, con immensa delicatezza, ho dovuto scendere nei dettagli. E siamo molto lontani da una “esecuzione”. Per capirlo ho ripreso altri omicidi di religiosi avvenuti in Burundi, compreso quello del vicentino padre Ottorino Maule. In tutti i casi precedenti, la morte è avvenuta in modo rapido, con un colpo alla testa. Non è stato così per suor Olga e le sue consorelle, sulle quali è stata inscenata ma noncompiuta anche una sorta di violenza sessuale».

Ancora una volta, però, la domanda è sempre la stessa: perché?

«In Burundi la maggioranza della popolazione è cristiana, in buona parte cattolica. Ma permangono credenze che noi qui chiameremmo “stregoneria”. Non è infrequente il ricorso a guru o stregoni per propiziarsi il futuro. E molti uomini di potere hanno il loro stregone “personale”. In questo caso, sarebbe stato il capo dei servizi segreti a “propiziarsi” un’iniziativa contro un avversario politico, probabilmente lo stesso presidente, sacrificando tre donne bianche».

Sembrano retaggi dalla quale l’Africa fatica a liberarsi. È così?

«Nel mio libro affronto l’argomento citando numerosi studi antropologici. Il paradosso è che queste credenze sopravvivono di più nelle zone più urbanizzate, dove il benessere è maggiore. D’altronde, chi ricorre a queste pratiche deve poterselo permettere economicamente».

In questa trama “oscura” c’è però un elemento interessante: la “riapertura del caso” è avvenuta grazie al lavoro di una testata giornalistica radiofonica locale. C’è una società civile in Burundi, quindi, che cerca vie più trasparenti e democratiche di gestione del potere?

«C’è, è vivace e questo è un fatto positivo, anche se talvolta le differenze etniche rischiano di vanificare iniziative meritorie in questo campo. Tuttavia sì, il tentativo di scalfire questa “impunità dilagante” c’è ed è quello a cui ho voluto contribuire anch’io con il mio libro. Se non si riuscirà a fare verità e giustizia per tre missionarie, come si può sperare di avere giustizia per la gente comune? Spero che provare a fare verità sull’omicidio di suor Olga possa aiutare a fare verità su una serie infinita di morti senza nome».

(Diocesi di Vicenza)

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