Don Lorenzo Zaupa conclude il mandato di vicario generale e diventa parroco di Chiampo, Nogarole e Alvese.

Dal 5 ottobre del 2015 era il Vicario generale della Diocesi di Vicenza, e ora don Lorenzo Zaupa si prepara ad iniziare una nuova avventura da parroco dell’Unità pastorale di Chiampo, Nogarole e Alvese, assieme a don Emanuele Billo, ordinato lo scorso giugno, come vicario parrocchiale.

Che effetto le fa tornare parroco dopo i quasi dieci anni da Vicario generale?

«In realtà questi anni sono stati una parentesi, sono sempre stato parroco e prete di parrocchia. Il mio essere prete l’ho sempre pensato in una comunità cristiana, parrocchia o unità pastorale. Il nuovo incarico non mi spaventa, anzi. È un po’ il mio desiderio essere dentro il contesto pastorale parrocchiale, vivere in modo stabile accanto alla gente i momenti belli e quelli tristi. Il lavoro di curia rischia di inaridirti, di farti sentire un po’ di tutti e un po’ di nessuno. Con in più la sofferenza della solitudine di noi preti. Che non è da trascurare. Ci salvano le fraternità presbiterali. La funzione del Vicario generale è quella del ‘pronto soccorso’. A tutte le ore. Mi sono alzato la notte per andare a soccorrere un prete che era svenuto, aiutarlo a rialzarsi e rasserenarlo. Ci deve essere qualcuno a dare una mano ai nostri preti».

Quali sono stati i passaggi più signifi cativi per la Diocesi in questi anni?

«In questi anni ne ho viste tante, di belle e di brutte. Il filo conduttore, fin dal mio arrivo, è stato quello di accompagnare l’ingresso delle parrocchie in unità pastorale. Il progetto è stato portato avanti con il vescovo Beniamino e con altri collaboratori. Ci sono stati momenti molto significativi, a volte duri, a volte soddisfacenti. La resistenza a questa nuova forma di Chiesa nel nostro territorio a volte è più nei preti che nei laici. Un secondo aspetto è la proposta dei gruppi ministeriali. Non so se tutti hanno capito il valore di questa esperienza. Laddove li ho visti all’opera nelle piccole parrocchie sono una benedizione. Esprimono un volto laicale più umano, si prendono cura delle relazioni in parrocchie più fragili che non possono avere il prete residente. Dei laici che si donano così diventano una forza per la Chiesa. È un’esperienza che anche il vescovo Giuliano sta apprezzando».

Il momento più difficile?

«Un momento molto duro è stata la pandemia. Abbiamo trascorso sere e notti con il vescovo Beniamino per far fronte a tutte le conseguenze di questa “bestia”. C’è stata tanta sofferenza. Persone, preti, comunità… abbiamo lavorato per accompagnare, mediare, sostenere i nostri preti. Abbiamo condiviso la tristezza per quelli che ci hanno lasciato».

Dal punto di vista umano, cosa ha segnato la sua esperienza da Vicario generale?

«L’accompagnamento dei nostri preti anziani e malati. Abbiamo tanti difetti, ma ho visto tanta fede, generosità e anche un’umiltà che non avrei mai immaginato. Abbiamo avuto delle figure di preti veramente in gamba. Uno degli ultimi che ci ha lasciati, don Luigi Crestani, ha trascorso 45 anni a servizio dei malati, in modo stupendo, senza chiasso, con uno stile positivo, incoraggiante. Queste scoperte sono tesori nascosti che arricchiscono la nostra Chiesa. Anche le cresime sono state un altro bel dono ricevuto. Io ero presente nel momento più bello felice, ma dietro c’è tanto lavoro e tanta fatica di catechisti, preti, educatori, genitori».

Recentemente ha visitato il Camerun per i 50 anni della Diocesi di Maroua- Mokolo dove è stato missionario fidei donum dal 1985 al 1999. Che posto occupa nel suo cuore quella esperienza?

«I tredici anni trascorsi in Camerun sono stati un grande dono che il Signore mi ha fatto. Non ho chiesto io di andarci, ma la Chiesa di Vicenza tramite il vescovo Onisto. Per me è stata un’occasione di riscoprire la mia fede, la mia umanità, il mio essere prete e missionario. È un grande dono poter essere a servizio di giovani Chiese e a servizio dei poveri, anche in situazioni che ti provano dal punto di vista umano. Siccità, carestie, epidemie… Ci si trova di fronte a drammi così forti che o scappi o trovi la forza di affrontarli. In missione ho ricevuto una grande testimonianza di fede e di resistenza. Abbiamo un debito verso i poveri, sono davvero i nostri maestri, come diceva Turoldo».

Cosa le piacerebbe veder crescere nelle parrocchie dell’Unità pastorale di Chiampo?

«Non voglio fare da maestro a nessuno, ma c’è bisogno di superare l’idea tradizionale della parrocchia per aprirci a diventare comunità cristiane. Superare il campanile, mettere al centro il Vangelo. Ho assistito a tanti litigi… vorrei una comunità che coltiva relazioni buone con le persone, che ci tiene alla stima reciproca, all’accoglienza. Puntare su relazioni buone, mature dal punto di vista umano, corrette. Vorrei che uscissimo dal “chiesa-centrismo” per sentirci a servizio del territorio, del mondo giovanile, della scuola, della politica. Non che ci servissimo degli altri per i nostri risultati. E non bisogna dimenticarsi dei poveri».

Andrea Frison

(Diocesi di Vicenza)

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