Al via il XXI capitolo delle suore Dorotee

“Da Gerusalemme a Gerico” è il titolo scelto per il XXI capitolo generale delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, la congregazione più numerosa tra quelle nate in Diocesi, fondata dal Vescovo San Giovanni Antonio Farina e che conta quasi mille consorelle distribuite in 15 Paesi del mondo, oltre all’Italia. Il capitolo concluderà il sessennio iniziato nel 2017, quando per succedere alla madre generale suor Emma Dal Maso è stata eletta suor Maria Teresa Peña, spagnola e prima non italiana a guidare la congregazione.

Suor Maria Teresa Peña, attuale Madre Generale della Congregazione

Suor Maria Teresa, come sono stati questi anni da Madre Generale?

«Sono stati anni ricchi di esperienze, compresa la pandemia che ci ha fatto vivere qualcosa di impensabile. Abbiamo dovuto mettere in moto i cambiamenti che il capitolo ci aveva affidato. Il consiglio generale deve mettere in pratica le indicazioni date dal capitolo e quello del 2017 è stato molto impegnativo, con tante cose da fare».

Quali sono stati i compiti più impegnativi?

«La riorganizzazione della congregazione a livello di province in tutto il mondo. Abbiamo cambiato il sistema di funzionamento e questo ci ha portate a lavorare molto di più in equipe. Avremmo dovuto creare una provincia unica per l’America latina, ma strada facendo abbiamo constatato che le condizioni non sono ancora mature. Questa rimane una delle sfide. Più nello specifico abbiamo riformato tutto il sistema amministrativo della congregazione, soprattutto in Italia. Già suor Emma Dal Maso, madre generale prima di me, aveva aperto uno spiraglio affidando alcuni settori a dei laici, come le scuole di Vicenza, la casa di riposo di Brendola e il presidio riabilitativo di Vigardolo. Su questa linea abbiamo lavorato anche in questo sessennio, per creare una gestione più moderna, più organizzata e di equipe. È stata una rivoluzione, perché siamo abituate ad essere una congregazione ancora autosufficiente, facciamo da sole molte cose».

In questi anni avete anche riaperto la comunità in Siria. Come stanno andando le cose?

«Quando è scoppiata la guerra eravamo in Siria da 14 anni. Nel 2013 una nostra consorella è rimasta uccisa da un’esplosione e così abbiamo abbandonato definitivamente il Paese. Il capitolo del 2017 però ci ha affidato il compito di riaprire la comunità in Siria, e così è avvenuto, nel 2019. Ma la povertà del Paese è grande, ed è molto difficile. Le nostre suore collaborano con i francescani e vivono in un appartamento ad Aleppo che fortunatamente ha retto al terremoto dello scorso febbraio. In linea con le indicazioni del capitolo, abbiamo costituito una comunità internazionale, composta da tre suore, due dalla Giordania e una dall’India».

Siete presenti anche in Ucraina, a pochi chilometri da Leopoli che è stata più volte bombardata. Lì non avete mai pensato di chiudere?

«In Ucraina vivono quattro sorelle che hanno deciso di rimanere, hanno avuto il coraggio di stare con la gente. Gestiscono un doposcuola e si prendono cura degli anziani, fornendo pasti caldi a chi non può permetterseli. In Ucraina non ci sono pensioni, molti anziani sono poveri. Gli uomini sono andati a combattere e le donne lavorano, pertanto i bambini rimangono a casa, seguiti dalle nostre suore. Anche questa è una comunità internazionale, composta da quattro suore: una brasiliana, una colombiana, una polacca e una indiana».

Cosa rappresenta l’India per la vostra congregazione?

«In India, come in Ecuador, ci sono le nostre risorse umane. In India abbiamo 120 suore, in Ecuador 140. Sono suore brave, missionarie, capaci di andare in tutto il mondo e di sapersi adattare».

Cosa ha fatto attecchire così bene il vostro carisma in questi Paesi?

«La povertà penso. La povertà fa sentire più fortemente la vocazione. Quando una persona avvantaggiata pensa solo a sé e al suo benessere, si blocca, non si apre all’ascolto di Dio. Quando uno è povero sente di aver bisogno, è più aperto alla chiamata. In India abbiamo aperto la prima missione in Kerala, la regione più cattolica dell’India e che oggi è anche lo Stato più ricco del Paese. Adesso infatti le vocazioni sono poche, il benessere le ha bloccate. Negli altri Stati in cui siamo presenti, cinque in tutto, le vocazioni però ci sono».

Come condiziona la vostra presenza il Governo indiano, molto nazionalista e identitario dal punto di vista religioso?

«Non c’è una suora stabile che non sia indiana. Per noi è impossibile fermarci, possiamo andarci con un visto turistico per tre mesi e basta. Nonostante questo, quella indiana è una sorgente viva, ormai autosufficiente».

Veniamo al capitolo, come avete scelto il tema da “Gerusalemme a Gerico”, citazione tratta dalla parabola del buon samaritano?

«Il tema è nato dalla consulta, un organismo che si ritrova a metà sessennio e che riunisce le superiori provinciali di tutto il mondo. Durante la consulta prepariamo il capitolo successivo. Ogni provinciale doveva portare un brano del Vangelo, e nell’ascolto è risuonato in maniera molto forte questo passo. Per molti anni siamo state una congregazione autosufficiente, siamo state abituate a fare da sole molte cose. Oggi però molte sorelle sono anziane e bisogna prendersene cura ma non è facile, abbiamo bisogno di aiuto. Il samaritano si prende cura dell’uomo percosso dai briganti ma anche lui ha bisogno di farsi aiutare perché deve proseguire nel suo cammino. Così chiede aiuto all’oste. Anche noi abbiamo la possibilità di chiedere aiuto e di affidarci ad altre persone che possano collaborare con noi. Oltre a tutto questo, il brano ci ricorda che dobbiamo sempre passare dalla religiosità alla vita, dal tempio alla strada».

Lo scorso anno è stato festeggiato il centenario della nascita al cielo di Santa Bertilla Boscardin. L’occasione ha ribadito il legame con le “radici vicentine” della congregazione. Che posto occupa la Diocesi vicentina?

«Il legame con Vicenza rimane forte. La congregazione è nata qui e siamo fortemente legate al territorio e alla chiesa vicentina. Solo qui siamo 150 suore, ma per la maggior parte anziane e malate. Anche per questo è necessario rivedere la struttura interna della congregazione, un tema che verrà affrontato dal capitolo».

(Diocesi di Vicenza)

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