L’omelia del Vescovo al mercoledì delle ceneri: “Entriamo insieme in questo cammino di salvezza e di speranza”

Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”.

Laceratevi il cuore”, ammonisce il profeta Gioele, invitando i fedeli che si avvicinano al tempio e i sacerdoti ad un pentimento autentico, ad un atteggiamento che vada alla profondità della loro esistenza, e che non rimanga alla superficie dei gesti – pur importanti – di un rito.

A ben pensarci, abbiamo abbandonato ormai da tempo anche soltanto l’idea di lacerarci le vesti per manifestare pentimento, contrizione, conversione. E quindi, a maggior ragione, come possiamo pensare ancora rivolto a noi l’invito addirittura al “lacerarci il cuore”?  Non è una pretesa assurda, contro la nostra libertà ed autonomia, una richiesta da mettere decisamente da parte?

Cosa significa lacerarci il cuore?

Non è troppo violento e traumatico, non fa troppo male, soprattutto in rapporto ad un Dio che sappiamo essere amore eterno e infinito, amore Egli stesso? Perché dover tornare a Lui con “digiuni, con pianti e lamenti”?

Tutto ciò che ha che fare con la dimensione del cuore è assieme sentimento e pensiero, mente ed affetto, è tutto ciò che risuona in noi quando ci lasciamo toccare dalla vita, dalle persone, dalla contemplazione di ogni cosa, dall’incontro concreto con l’esistenza.

Una persona o una comunità che non sappiano più uscire dalla loro indifferenza nei confronti delle situazioni contradittorie e faticose della vita dei fratelli, delle sorelle, degli uomini e delle donne del nostro tempo, una persona o una comunità che non sappiano fermarsi nei loro percorsi preorganizzati per ascoltare una richiesta, per lasciarsi ferire da uno sguardo o da una voce, una persona o una comunità che siano disposte al massimo a prendere atto di notizie ed informazioni, senza mettere in discussione nulla del proprio stile di vita, dei propri atteggiamenti; questa persona o questa comunità dovrebbero accogliere come un dono di grazia la chiamata del profeta a “lacerare il cuore”: a creare –  anche a costo di dolore e di fatica – quella ferita che è un varco che apre uno sprazzo di luce, uno spiraglio di aria fresca buona e pulita, la breccia che permette all’amore di entrare, di purificare e sanare, di illuminare e far risplendere, di rinnovare e riconciliare quanto non eravamo nemmeno più in grado di riconoscere come ammuffito, stantio, vecchio.

Questa comunità possiamo essere noi. Questa persona sono io.

L’amore non è mai neutro, l’amore colpisce e ferisce, l’amore scuote e risveglia.

È l’amore che libera e trasforma, che ci dona la possibilità di fermarci quando stiamo sbagliando, che ci fa tornare indietro – ci converte, insomma – quando abbiamo sbagliato strada; ci fa tornare a casa quando ci siamo allontanati dall’amore vero del Padre, ci porta a ricostruire relazioni e solidarietà dove abbiamo sparso macerie e solitudini.

È l’amore che ci fa capire e percepire che non possiamo accontentarci di piccole cose, di orizzonti ristretti, di piccoli accomodamenti quotidiani, ma che possiamo vivere secondo la misura dell’umanità piena, donata nella vera umanità e nella vera divinità di Cristo.

Solo se permettiamo alla grazia del pentimento di lacerare il cuore duro con cui spesso ci proteggiamo dal dolore e dalla fatica, potremo incontrare veramente il Messia che proclama il giubileo definitivo, la remissione dei debiti e dei peccati, la vita, la gioia, Colui che ha ricevuto la pienezza dello Spirito di amore e di vita, Colui che proclama solennemente:  “Il Signore mi ha mandato a fasciare le piaghe dei cuori spezzati”.

I cuori spezzati dalle vicende della vita, dalla forza apparentemente insormontabile del male. Spezzati dall’egoismo e dall’indifferenza, dalla malattia, dalla guerra, dall’ingiustizia, dall’abbandono. E anche i cuori che si lasciano ferire, e sì, lacerare dall’incontro, dalla compassione. Tutti insieme saranno fasciati dal Cristo, che ci è vicino da Risorto, grazie al dono scandaloso della sua Passione.

È la grazia che possiamo chiedere per il cammino di Quaresima che stiamo aprendo con il segno dell’imposizione delle ceneri sul capo.

È una via che permette di aprire prospettive di incontro con il Cristo Risorto.

Papa Francesco (continuiamo a pregare per lui, fratelli e sorelle, continuiamo a pregare per lui) ce lo insegna nell’enciclica “Dilexit nos”, che ha dedicato all’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo: “In definitiva, è il Risorto che, attraverso l’azione della sua grazia, rende possibile che ci uniamo misteriosamente alla sua Passione. Lo sanno i cuori credenti che vivono la gioia della risurrezione, ma allo stesso tempo desiderano partecipare al destino del loro Signore. Sono disposti a questa partecipazione con le sofferenze, le stanchezze, le delusioni e le paure che fanno parte della loro vita”.

Chiediamo al Signore in questa celebrazione che ci apra alle vicende del nostro tempo, di questo nostro mondo spaesato e disorientato. Chiediamogli la fiducia che “lacerare il cuore” è prospettiva di vita, e che lo incontreremo come colui che fascia le piaghe di questi cuori spezzati.

E chiediamolo assieme perché crediamo che è la Chiesa, che è questa comunità di credenti il grembo che accoglie la grazia e che da essa riceve la forza di generare vita nuova.

Ce lo insegna ancora papa Francesco:  [I credenti] “non vivono tale Mistero in solitudine, perché queste ferite sono ugualmente una partecipazione al destino del corpo mistico di Cristo che cammina nel popolo santo di Dio e che porta in sé il destino di Cristo in ogni tempo e luogo della storia.” (Dilexit nos, 157).

Entriamo insieme in questo cammino di salvezza e di speranza.

5 marzo 2025 – Mercoledì delle ceneri

Cattedrale di Treviso

Omelia del vescovo Tomasi

(Diocesi di Treviso)

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