Mons. Tomasi ricorda il beato Luciani a Canale d’Agordo: “Uomo di Dio, pastore di anime, annunciatore di speranza”

Martedì 26 agosto ricorre per la terza volta la memoria liturgica del beato Giovanni Paolo I, elevato all’onore degli altari da papa Francesco il 4 settembre 2022. La celebrazione della diocesi di Belluno – Feltre si è tenuta – come da tradizione – nel pomeriggio, sulla piazza di Canale d’Agordo, la parrocchia dove Albino Luciani nacque il 17 ottobre 1912. A presiedere la celebrazione il vescovo di Treviso, monsignor Michele Tomasi, che ha accolto l’invito del vescovo Renato Marangoni. Ecco l’omelia:

Omelia nella memoria del beato Giovanni Paolo I

Canale d’Agordo – 26 agosto 2025

Vescovo Michele Tomasi

Letture: Is 61,1-3a; Sal 88 (89); Mt 23,8-12

Nella prima lettura abbiamo appena ascoltato la promessa dell’indizione del giubileo definitivo, il contenuto del rotolo della Scrittura santa che è stata consegnata a Gesù nella sinagoga di Nazareth, che Egli legge e commenta così: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Gesù inaugura il giubileo definitivo per il suo popolo e per l’umanità intera, in cui si compie “il lieto annuncio ai miseri”, in cui vengono fasciate “le piaghe dei cuori spezzati”, viene proclamata “la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri”. In questo nostro anno santo, nel giubileo che papa Francesco ha voluto dedicare al tema della speranza, ascoltiamo ancora una volta il cuore, il senso profondo di questo tempo particolare, proprio nella memoria del beato Giovanni Paolo I, nel giorno anniversario dell’elezione al soglio pontificio di Albino Luciani.

Sono profondamente grato al Vescovo Renato che ha avuto la bontà di invitarmi qui, oggi, a presiedere questa solenne celebrazione proprio nel paese natale del Papa beato.

Pur non potendo portare particolari contributi di conoscenza o motivi di vicinanza che mi leghino a Giovanni Paolo I – se non la personale devozione e il sincero affetto per Papa Luciani che spesso riscontro in tantissimi fedeli della mia Diocesi di Treviso – ritengo un momento per me di grazia poter celebrare proprio qui, con voi, la gratitudine al Signore per il dono alla Chiesa ed al mondo intero di questo Papa. Qui, tra queste montagne, tra queste case, soprattutto tra questa gente, è iniziata e trova la sua origine profonda la vicenda umana, spirituale ed ecclesiale di Albino Luciani.

Qui nasce e si consolida nei legami familiari e parrocchiali la storia di una fede salda, incrollabile, qui si gettano le fondamenta di un realismo così intriso di Vangelo, da trovare anche nelle fatiche e nelle contraddizioni della vita motivi per affidarsi all’amore di Dio senza fughe dalle questioni anche impellenti del tempo, ma sempre illuminato da una speranza a volte davvero “contro ogni speranza”.

Una della quattro catechesi nelle udienze del mercoledì che Papa Giovanni Paolo I ha potuto tenere nei 33 giorni del suo pontificato era dedicata (il 20 settembre 1979) proprio alla virtù della speranza. Virtù che, guardando al dono in Cristo della vita eterna, si sa prendere cura della dignità dei nostri giorni terreni, della vita di ciascuno e di tutti. Il Papa esortava ad attaccarsi con forza
a tre verità: Dio è onnipotente, Dio mi ama immensamente, Dio è fedele alle promesse. Ed è Lui, il Dio della misericordia, che accende in me la fiducia; per cui io non mi sento né solo, né inutile, né abbandonato, ma coinvolto in un destino di salvezza, che sboccherà un giorno nel Paradiso”.

E continuava poco dopo:

Non tutti condividono questa mia simpatia per la speranza. Nietzsche – per esempio – la chiama «virtù dei deboli»; essa farebbe del cristiano un inutile, un separato, un rassegnato, un estraneo al progresso del mondo. Altri parlano di «alienazione», che distoglierebbe i cristiani dalla lotta per la promozione umana. Ma «il messaggio cristiano – ha detto il Concilio – lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo… li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente»”. Temi e riferimenti, questi, molto attuali e scottanti negli anni ’70 del secolo scorso, ma che in forma differente ci provocano ancora oggi, se Papa Leone esorta i Vescovi italiani a fare in modo che i “fedeli laici, nutriti della Parola di Dio e formati nella dottrina sociale della Chiesa, siano protagonisti dell’evangelizzazione nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, negli ambienti sociali e culturali, nell’economia, nella politica”.

Un commento pubblicato dalla rivista «Civiltà cattolica» nei giorni immediatamente successivi alla elezione del nuovo Papa, sottolineava come “la sua amabilità, la sua sorridente semplicità, la sua umiltà gli hanno conquistato l’universale simpatia”. E continuava: “è apparso a tutti evidente – anche da quello che si è potuto conoscere della sua vita precedente – che il Signore ha voluto dare alla sua Chiesa un Papa che fosse, prima di ogni altra cosa, un uomo di Dio ed un pastore di anime”.

Uomo di Dio. Pastore di anime. Annunciatore di speranza.

E il cardinale Pironio (che al conclave sedeva proprio davanti al cardinale Luciani) ha raccontato, nella cattedrale di Vittorio Veneto il 25 febbraio 1979, che, in attesa del suo «sì» alla nomina appena avvenuta, egli lo ha visto “con una serenità profonda, che proveniva proprio da una interiorità che non si improvvisa. Un uomo veramente contemplativo, un uomo di preghiera, un uomo di continua comunione con il Signore. Questo gli dava molta serenità e fiducia”.

Albino Luciani ha sperimentato questo legame di fede nelle condizioni spesso difficili della sua vita, e fin dalla fanciullezza. Aveva potuto ricordare, in occasione della sua udienza con i pellegrini bellunesi che erano andati a trovarlo a Roma: “È stato ricordato dai giornali, anche troppo forse, che la mia famiglia era povera. Posso confermarvi che durante l’anno dell’invasione ho patito veramente la fame, e anche dopo; almeno sarò capace di capire i problemi di chi ha fame”. Le prove vissute, rilette alla luce della Parola di Dio, gli hanno permesso di essere annunciatore di una buona Notizia, consolatore dei poveri che in molti modi ha “fasciato le piaghe dei cuori spezzati”.

Consolatore per i singoli, incontrati con amore e misericordia, aiutati concretamente.

Consolatore per le categorie, i gruppi sociali, politici, economici. Come scriveva nella sua lettera immaginaria all’autore inglese Charles Dickens:

Amore al povero, e non tanto al povero singolo, quanto ai poveri, che respinti, sia come individui sia come popoli, si sono sentiti classe e solidarizzano tra loro. Ad essi, senza titubanza, sull’esempio di Cristo, va data la preferenza sincera e aperta dei cristiani”.

E sostenendo le ragioni di una solidarietà universale, scriveva nel 1976 parole che rimangono attuali, anche se purtroppo inascoltate, anche per noi oggi:

Siamo un’unica barca piena di popoli ormai ravvicinati nello spazio e nel costume, ma in un mare molto mosso. Se non vogliamo andare incontro a gravi dissesti, la regola è questa: tutti per uno e uno per tutti; insistere su quello che unisce, lasciar perdere quello che divide”.

La realtà del nostro mondo è ancora più intrecciata oggi di quanto non lo fosse allora, e talvolta ci sentiamo ancora più tristemente lontani da questo senso di solidarietà e di fraternità, con troppi potenti e troppi «maestri» che vedono nel conflitto, nell’arbitrio del più forte, nella competizione senza argini e senza limiti, nel saccheggio del creato l’unico naturale modo di interagire tra loro delle persone e dei popoli.

Lasciamoci suggerire da Papa Luciani anche la lucida follia attribuita a un interlocutore del Petrarca, che in un’altra delle sue lettere immaginarie, “veduti dei soldati in marcia, aveva chiesto al poeta: «Dove vanno?» «Alla guerra!» aveva risposto il Petrarca. «Ma – osservò il pazzo – questa guerra dovrà pur un bel giorno terminare con la pace, sì o no?» «Certo!» replicò il poeta. «Ma allora – riprese il pazzo – perché non fare subito la pace, prima di cominciare la guerra?» «Io – concludeva malinconicamente il Petrarca –, io la penso come quel pazzo!»”.

Anche oggi sperare e impegnarsi per la pace sembra follia. Ma, se lo è, è una follia necessaria, perché – ancora con le parole rivolte da Papa Leone ai Vescovi italiani – “la pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione”.

Consolazione, solidarietà, speranza. Tutto è possibile, così ci ha insegnato Albino Luciani, solamente se rimaniamo radicati in un’incrollabile fiducia in Dio, se ci lasciamo illuminare dalla prospettiva della Croce e della Risurrezione di Cristo, riconoscendoci fratelli e sorelle – tutti – perché Figli di un unico Padre, e discepoli di un unico Maestro:

Voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo”.

(Diocesi di Treviso)

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