“Rivolgiamo un pensiero di gratitudine a papa Leone XIV per aver accettato l’invito a essere con noi, giovedì 20 novembre, per la chiusura di questa nostra Assemblea”. Così il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha aperto poco fa i lavori dell’Assemblea generale dei vescovi italiani, che comincia oggi ad Assisi. “Ci predisponiamo ad accogliere la sua parola, occasione preziosa per confermarci nel suo magistero di unità e di pace”, ha assicurato il cardinale, sintetizzando “gli assi portanti” dei primi sei mesi di pontificato di Prevost: “la centralità dell’annuncio del Vangelo, l’unità della Chiesa, l’esercizio della collegialità nella sinodalità, la promozione di una pace disarmata e disarmante in un mondo che al contrario si esercita nella forza, riempie gli arsenali e svuota di conseguenza le scuole, gli ospedali, i granai; l’attenzione alla dignità della persona umana, dal suo inizio alla fine, tutta da amare, curare e custodire, sempre e per tutti”. Attorno a questi temi, per Zuppi, ruotano anche quelle “attenzioni pastorali” consegnate ai vescovi italiani il 17 giugno scorso: “Ci sentiamo spronati dall’invito a guardare al futuro con serenità, compiendo scelte coraggiose. Ne sento e ne sentiamo tutti la responsabilità e l’opportunità”. “Nessuno potrà impedirvi di stare vicino alla gente, di condividere la vita, di camminare con gli ultimi, di servire i poveri”, ha proseguito il cardinale citando Leone XIV: “Nessuno potrà impedirvi di annunciare il Vangelo, ed è il Vangelo che siamo inviati a portare, perché è di questo che tutti, noi per primi, abbiamo bisogno per vivere bene ed essere felici”. Nel discorso al Corpo diplomatico, “attraverso la triade pace-giustizia-verità, ha offerto una lettura globale delle crisi contemporanee”, ha sottolineato inoltre il presidente della Cei: “tutela della libertà religiosa, rilancio della diplomazia multilaterale, critica della corsa al riarmo, centralità della famiglia come ‘società piccola ma vera’, attenzione ai fragili quale criterio delle politiche pubbliche”.
Nel saluto iniziale ai Vescovi, il card. Zuppi ha ricordato anche i pastori mancati nell’ultimo tempo: tra loro anche il vescovo emerito di Treviso, mons. Gianfranco Agostino Gardin
“Talvolta, quasi senza motivo, si consolida l’abitudine a vivere lontani dalla Chiesa, concentrati su di sé e sui propri problemi”, ha osservato il cardinale: “Noi siamo la Chiesa di tutti e vorremmo esserlo di più, certo rispettosamente, anche per costoro”. Il programma è quello tracciato da Paolo VI durante il Concilio: “uno stato d’animo amico, missionario, capace di ascolto, di fedeltà nel tempo, di attesa e di accoglienza. Non uno stato d’animo rassegnato, perché la storia è piena di sorprese e tanti segni d’interesse mi sembrano affiorare”. “La fine della cristianità non segna affatto la scomparsa della fede, ma il passaggio a un tempo in cui la fede non è più data per scontata dal contesto sociale, bensì è adesione personale e consapevole al Vangelo”. Ne è convinto il cardinale, che è partito dal “cambiamento d’epoca” denunciato da Papa Francesco: “la cristianità è finita”, cioè “la società non è naturalmente più cristiana, ma questo non deve spaventarci”. L’esempio citato è quello della società di Antiochia, al tempo della Chiesa nascente, quando “i credenti si sono impegnati di persona a portare e comunicare la loro esperienza di fede”. “Se quindi la cristianità è finita, non lo è affatto il cristianesimo: ciò che tramonta è un ordine di potere e di cultura, non la forza viva del Vangelo”, la tesi di Zuppi, secondo il quale “non dobbiamo avere paura ma rinnovare il nostro impegno a essere testimoni gioiosi del Risorto. Non dobbiamo diventare mediocri, spaventati, paurosi nella paternità e nell’assumerci responsabilità, ma più evangelici e cristiani!”. “Non temiamo, dunque, questo tempo, che sembra sottrarre spazio alla fede: forse è il contrario”, l’invito del presidente della Cei, sulla scorta di Paolo VI: “Il credente di oggi non è più il custode di un mondo cristiano, ma il pellegrino di una speranza che continua a farsi strada nei cuori”.
“Lo scorso 25 ottobre i delegati – compresi i vescovi – hanno votato il Documento finale. Si è chiusa così una fase importante, avviata quattro anni fa accogliendo l’invito di Papa Francesco, che ha visto una partecipazione a vario titolo di almeno 500mila persone”. È il bilancio del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, stilato dal card. Matteo Zuppi. “Con il Cammino sinodale abbiamo imparato ad affinare aspetti che erano probabilmente già presenti, ma che avevano bisogno di essere rinnovati: l’ascolto, il discernimento, la profezia”, ha sintetizzato il cardinale: “Abbiamo cercato soprattutto di interiorizzare questo processo come stile ecclesiale permanente. Ora si apre una fase nuova che interpella in particolare noi pastori nell’esercizio della collegialità e in quel presiedere la comunione così decisivo perché la sinodalità diventi forma, stile, prassi per una missione più efficace nel mondo”. In applicazione all’indicazione del Consiglio episcopale permanente riunito a Gorizia lo scorso settembre – ha reso noto il presidente della Cei – ha nominato un gruppo di vescovi che, coadiuvato dagli organi statutari, sarà di aiuto al nostro percorso fino a maggio 2026: il card. Roberto Repole, mons. Gherardo Gambelli, mons. Guglielmo Giombanco, mons. Corrado Lorefice, mons. Andrea Migliavacca, mons. Michele Tomasi. Citando il Concilio di Gerusalemme di cui parlano gli Atti degli apostoli, Zuppi ha commentato: “Questa è anche la ragion d’essere della comunità credente, sin dalle sue origini: raccontare in modo autorevole e affidabile che Gesù di Nazareth è risorto dai morti, primizia di tutta l’umanità chiamata a condividere la sua stessa vita. Possiamo sviluppare tecniche diverse, sempre più efficaci e al passo con i tempi, ma sempre a servizio dell’annuncio di una esperienza di fede già vissuta”.
“Possa la Chiesa aiutare gli italiani a sentirsi meno polarizzati, meno isolati e soli, insomma più popolo!”. È l’auspicio del cardinale che, sulla scorta di Benedetto XIV, ha sottolineato che “una delle più profonde povertà che l’uomo può sperimentare è la solitudine”: “A ben vedere anche le altre povertà, comprese quelle materiali, nascono dall’isolamento, dal non essere amati o dalla difficoltà di amare”. “Non abbiamo timore della diversità se tutto avviene nella maternità della Chiesa e nella comunione”, ha proseguito il cardinale, secondo il quale “va riaccesa la passione di far comunità, di pensarsi insieme, che è anche difficile e faticoso, come tutte le cose impegnative, anche perché si tratta di condividere la fraternità in un mondo di persone abituate a vivere sole, a parlarsi in remoto, a fare girare tutto intorno all’io”. “Sostenere una comunità, la sua crescita e il suo sviluppo, è un’arte pastorale, ma è principalmente frutto della Eucaristia, della preghiera comune, del servizio ai poveri”, ha fatto notare Zuppi: “Tutti i nostri ministeri acquistano significato se in relazione a una comunità. Va riaccesa e accompagnata questa passione comunitaria che è evangelica e scritta nel profondo dell’animo umano. In una società che si atomizza la Chiesa non cessi mai di essere popolo! Anche in una piccola comunità – lo sappiamo dal Vangelo – c’è una grande forza: attrattiva e missionaria, consolatrice, liberatrice del male. Penso al significato di queste parole nella vita delle città, nelle periferie, nei paesi, nelle cosiddette aree interne: la vita si ravviva con la fede e la fraternità, il male arretra e viene sfidato dal bene”.
“Non è questo il momento storico del ‘noi’ della vita assieme, come si vede anche dalla fragilità della famiglia e di tante realtà associate?!”, ha esclamato Zuppi, secondo il quale “la natura stessa della Chiesa ci spinge a un impegno pastorale e di comunione nel senso di costruire la comunità dei credenti”. “Fare di questo una priorità della nostra pastorale è in sintonia con le scelte sinodali che non riguardano istituzioni o strutture, ma comunità vive, un soggetto, un noi”, la proposta del presidente della Cei: “Una comunità viva è sempre una profezia in questo nostro tempo individualista”. Le parrocchie, in particolare, “devono sempre restare aperte a qualunque tipo di fedeli e a qualunque ricerca di Dio: sono come la piazza della Chiesa, dove non ci devono essere accessi limitati o condizionati, perché spesso qui approdano tante persone da storie diverse particolari. E alla fontana vanno gli assetati, anche se non li conosciamo!”. Per Zuppi, inoltre, “tutte le forme comunitarie, come quelle dei movimenti, vanno incoraggiate nel dinamismo della comunione e della paternità, come le associazioni di ogni tipo che il genio della fede e dell’amicizia cristiana semina nel nostro tessuto ecclesiale. Penso alle comunità che si ritrovano attorno ai religiosi e alle religiose o a luoghi di preghiera, ai santuari e tanto altro”.
“È stata fatta molta strada in questi anni, e non abbiamo avuto paura né di iniziarla né di continuare a percorrerla”. È il bilancio della Chiesa italiana sul fronte della prevenzione degli abusi, stilato dal card. Zuppi, in apertura dell’assemblea dei vescovi italiani, in corso ad Assisi fino al 20 novembre. “Possiamo contare su una Rete efficace e radicata sul territorio, dove il presidio dei Servizi diocesani e interdiocesani, insieme ai Centri di ascolto, riflettono una presenza accogliente e solida della Chiesa che sa chinarsi con umiltà ad ascoltare il dolore delle vittime”, l’omaggio del cardinale, che ha annunciato: “Domani, 18 novembre, ricorre la V Giornata nazionale di preghiera, convintamente istituita dall’Episcopato italiano per riconoscere gli errori compiuti e impegnarsi per ricucire le ferite di chi ha sofferto e soffre, a causa di abusi, e anche noi, insieme, celebreremo questa preghiera durante i Vespri”. Sulla tutela dei minori, ha reso noto inoltre il cardinale, “la formazione resta un impegno rigoroso e costante: nel biennio 2023-2024 sono state raggiunte e formate circa 43mila persone. Certo, non mancano le zone d’ombra e le resistenze, ma abbiamo la concreta consapevolezza di un movimento costante, teso a rinsaldare la fiducia, ad amplificare il rispetto, ad accogliere e ascoltare le vittime, a custodire la dignità di ciascun membro del popolo di Dio”.
“Pensando all’architettura della pace, non si può trascurare l’Europa, che può garantirla risolvendo i conflitti nel dialogo e pensandosi insieme” ha detto il card. Zuppi. “Molti cristiani hanno giocato un grande ruolo nella riconciliazione tra europei dopo la Seconda guerra mondiale”, ha ricordato: “Pensiamo l’abisso tra tedeschi e francesi: oggi è una pagina di storia, ma non tantissimi decenni fa era una realtà dolorosa e preoccupante. Penso a come i cristiani siano stati nel cuore dell’avvio del processo di unificazione europea”. “Sono convinto che i cristiani e la nostra Chiesa cattolica abbiano un importante servizio da vivere”, ha proseguito il cardinale, secondo il quale “in un mondo complesso, tentato dalla logica della forza, l’Europa rappresenta un approdo importante e noi, cristiani europei, abbiamo una responsabilità. Non si tratta soltanto di mettere in comune problemi ad intra, quanto di confrontarsi, alla luce della fede, ali su pensieri lunghi che riguardino il nostro Continente ed esso in rapporto agli altri”.
“Non deve venire meno l’attenzione sulla martoriata Ucraina”. È l’appello del cardinale, al termine della sua introduzione all’assemblea dei vescovi italiani, in corso ad Assisi fino al 20 novembre. “In un mondo che si sta rimescolando, dove l’Europa rischia la periferizzazione o un’altra collocazione rispetto a Paesi emergenti o già emersi, ma anche rispetto al Nord America, l’Europa delle Chiese cristiane esiste e vive”, ha garantito il cardinale: “C’è un cattolicesimo europeo e c’è un enorme campo di esperienze e realizzazioni. Abbiamo da dire che la persona umana, anche se fragile, debole, morente, nascituro, è centrale nel nostro umanesimo. La nostra Europa ha avuto sempre un ruolo importante nel pensare l’umano, la persona, la comunità. Un pensiero estroverso anche in altri continenti. Questo non può mancare”. “Pensiamo a un prossimo momento di incontro sull’Europa, da preparare adeguatamente che spinga nella direzione che auspicava Romano Guardini, riflettendo su Europa. Compito e destino”, ha annunciato il presidente della Cei: “In fondo, tutti i processi di avvicinamento o globalizzazione, cui abbiamo assistito tra il XX e il XXI secolo, hanno presentato un deficit di spirito. L’Europa cristiana ha tanto da dire e molto da pensare in proposito”.
