La pioggia arriva come una benedizione e per i bambini è una scusa in più per giocare. Hanno appena finito di mangiare la colazione che ogni mattina preparano per loro alcune donne della parrocchia del Buon Pastore di Mafambisse, distretto da 70 mila abitanti ad una cinquantina di chilometri da Beira. «Qui lo chiamano “mata bicho”, che praticamente significa “ammazzare la bestia della fame”, come se nello stomaco che rumoreggia ci fosse un animale» spiega l’argentino padre Bruno Sturari della Pia Società di San Gaetano, congregazione vicentina alla quale la Diocesi di Beira ha affidato la cura pastorale di Mafambisse e delle sue comunità.
Padre Bruno, 67 anni, è a Mafambisse dallo scorso gennaio, arrivato dal Guatemala. Con lui vivono il “veterano” padre Piergiorgio Paoletto, da 15 anni in Mozambico, e il diacono Rafael de Oliveira, 37 anni, brasiliano, arrivato a Mafambisse 7 anni fa. Con Rafael saliamo in fuoristrada per raggiungere il villaggio di Mutua, a undici chilometri da Mafambisse. «Questa non è una pioggia forte che rende le strade impercorribili, ma quando piove tanto Mutua può rimanere isolato anche per tre giorni di fila», spiega Rafael, guidando per le viuzze di terra battuta tra le case di Mafambisse. Una donna sembra non darsi pensiero che il bucato steso si stia bagnando sotto la pioggia. «Se lo lascia steso vuol dire che non pioverà a lungo – spiega Rafael –. Gli anziani queste cose le sanno. Finita la pioggia molti scaveranno un buco per terra. Se vedono che l’acqua è penetrata in profondità, allora significa che è tempo di preparare il campo per seminare il riso».

Come si esce dalla città di Mafambisse, inizia la campagna. Raggiungiamo Mutua dopo una quarantina di minuti, percorrendo una strada piena di buche profonde che la pioggia ha riempito d’acqua. Ai bordi della pista si vedono soprattutto donne, con ceste in equilibrio sulla testa, incuranti della pioggia.
Mutua è un villaggio nato dopo il ciclone Idai del 2019 per consentire il “reassentamento” (reinsediamento in italiano) di circa tremila persone rimaste senza casa, con l’intento di avviare una nuova area di espansione urbana. L’intervento di alcune Ong ha permesso di assegnare agli sfollati nuove case dove abitare o appezzamenti di terreno dove poter realizzare una propria abitazione. Il villaggio è stato attrezzato di bagni pubblici, «anche se inutilizzabili perché non sono state realizzate le fosse biologiche» dice Rafael, e quest’anno sono arrivate l’elettricità e anche l’acqua potabile che si può attingere da fontane pubbliche.
A Mutua, grazie al sostegno della Cafod, oraganizzazione della Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles che si occupa di carità e sviluppo internazionale, la parrocchia del Buon Pastore ha realizzato qui il centro Sant’Agostino, un servizio rivolto ai bambini di 4 e 5 anni. Sono una cinquantina quelli che lo frequentano dal lunedì al venerdì. «Qui arrivano per fare colazione, svolgono attività assieme al maestro, giocano, pranzano, fanno il riposino, quando si svegliano fanno merenda e alla sera tornano a casa». Garantire un pasto è già una prima risposta ai bisogni di questi bambini, molti dei quali vivono con i nonni, spesso anziani, che si trovano ad accudire i nipoti vuoi perché i genitori lavorano lontano, vuoi perché sono morti a causa della “malattia”, l’Aids, che in Mozambico colpisce il 13 per cento della popolazione.

Il lunedì l’eccitazione dei bambini è alle stelle. «È il giorno in cui rientrano a scuola dopo aver trascorso il fine settimana in famiglia e per loro è una festa – racconta suor Simone, anche lei brasiliana, delle Figlie di nostra Signora della Misericordia che hanno una comunità a Mafambisse –. Non dobbiamo dimenticare che in molte famiglie questi bambini vivono in condizioni difficili, spesso violente».
Nel grande salone del centro Sant’Agostino che ospita le attività scolastiche i bambini stanno lavorando sull’alfabeto. Il maestro, Pio, distribuisce a tutti una penna e un foglio, sul quale devono copiare il loro nome. «Insegniamo loro a leggere, scrivere e un po’ di matematica – spiega suor Simone -. La scuola pubblica ha troppe lacune, così arrivano alle elementari con una base già formata e solida». Ma c’è un’altra ragione per cui è importante preparare i bambini alla scuola: «Alcuni di loro parlano solo le lingue locali: sena, ndau, chuabu – continua suor Simone –. Alle elementari si troverebbero in grosse difficoltà con il portoghese».
Battendo con un bastone di ferro un grosso cerchione di fuoristrada appeso con una catena sulla veranda, il maestro Pio segnala che è arrivata l’ora della ricreazione. I bambini invadono il cortile, correndo di qua e di là, due si scontrano e uno rimane a terra piangendo, subito consolato da suor Simone. Il maestro Pio li raduna in cerchio, si fanno giochi, si canta, si balla, si fa la gara di corsa nei sacchi delle patate o ci si arrampica sugli pneumatici piantati nel terreno come giostre. Intanto, sotto una tettoia, i cuochi preparano il pranzo: polenta di manioca e fagioli che si cuociono in un pentolone sopra il fuoco. «L’anno scorso i bambini che frequentavano il centro erano un centinaio – spiega il diacono Rafael –. Le organizzazioni che hanno contribuito ad avviarlo hanno concluso il progetto e ora è tutto sulle spalle della parrocchia, per questo riusciamo ad ospitare una cinquantina di bambini, oltre a sostenere le spese del personale». Anche per questo motivo il vescovo di Vicenza Giuliano Brugnotto ha deciso che le offerte raccolte in occasioni delle cresime celebrate in Diocesi nel 2025 verranno destinate alle attività del Centro Sant’Agostino.
«Qui in Mozambico c’è un forte bisogno di scuola – conclude Rafael –. Inoltre qui i bambini fanno esperienza di vivere insieme tra etnie diverse e imparano a superare i problemi che possono esserci. Credo che questo centro sia un investimento per il futuro di questo villaggio».
di Andrea Frison – inviato in Mozambico
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