Ultime

Papa Francesco, il ricordo di don Giorgio Bozza: “Le sue parole semi da far crescere”

Papa Francesco, il ricordo di don Giorgio Bozza: “Le sue parole semi da far crescere”

Nei giorni cruciali per la storia della Chiesa, chiamata a scegliere il successore di Pietro, riportiamo la riflessione di don Giorgio Bozza, consigliere ecclesiastico di Coldiretti Padova, sul lascito di Papa Francesco. 

Quella sera del 13 marzo 2013, quando Papa Francesco apparve per la prima volta sulla loggia di San Pietro, il mondo sentì subito che qualcosa era cambiato. Con un semplice «Buonasera, fratelli e sorelle!», rivolto alla folla come a degli amici, Jorge Mario Bergoglio conquistò i cuori. Non era solo un saluto: era la promessa di un pontificato vicino alle persone, specialmente a chi era dimenticato, lontano o si sentiva ormai perduto.

«Sono venuti a prendermi quasi dalla fine del mondo», disse quella sera, riferendosi alle sue origini argentine. Una scelta inedita per la Chiesa: per la prima volta un Papa dall’America Latina, un continente spesso ai margini. Ma per Francesco, le periferie diventarono il centro; la “fine del mondo” diventò il suo punto di osservazione previlegiato: da in fondo alla fila riesci a vedere tutti e ad accorgerti se qualcuno rimane indietro.

Nei suoi viaggi, da Lampedusa alle periferie delle metropoli, ha sempre messo al cuore delle sue attenzioni chi soffre: migranti, poveri, emarginati. «La Chiesa deve uscire, andare verso chi è ferito», ripeteva, trasformando le parole in azioni.

Scelse il nome Francesco, ispirandosi al santo di Assisi, simbolo di povertà e amore per il creato. Da lì, uno stile semplice: niente ricchi paramenti liturgici, sempre sobrio, una dimora modesta, una vita semplice. Ma la sua umiltà non era solo esteriore. Invitava a “costruire ponti, non muri”, a vedere negli altri fratelli e sorelle, non nemici. E quando parlava di peccato, aggiungeva sempre: «Dio non si stanca di perdonare. Siamo noi a stancarci di chiedere misericordia».

“Sora nostra Madre Terra”, come amava dire citando san Francesco, era per lui un tema cruciale. Nell’enciclica Laudato Si’ denunciò lo sfruttamento del pianeta, legandolo all’ingiustizia sociale: «L’inquinamento colpisce soprattutto i poveri», scriveva. Il centro della sua ecologia “integrale” era l’invito a tenere insieme ambiente e diritti umani, perché «tutto è connesso».

Francesco ha spesso paragonato la Chiesa a un “ospedale da campo”, dove curare le ferite, non giudicare. «Meglio una Chiesa accidentata che malata di chiusura», diceva. Per questo ha aperto alle tante situazioni irregolari all’interno della Chiesa, dialogato con culture lontane e ascoltato i giovani. Nei momenti più duri, come la malattia degli ultimi mesi, ha mostrato che la fragilità non è una vergogna.

Oggi, nel dolore per la sua scomparsa, rimangono le sue parole come semi da far crescere: accogliere chi è diverso, difendere i deboli, custodire il Creato, vivere con meno pretese. E soprattutto, quella richiesta che chiudeva ogni suo discorso: «Pregate per me». Un invito a non dimenticare nessuno nelle nostre preghiere, neppure il Papa, perché tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri.

Francesco ci ha insegnato che la speranza nasce dalle periferie, dai gesti semplici, dalla capacità di sostenere chi non ce la fa. E mentre lo ricordiamo, quell’abbraccio iniziale – «Buonasera!» – sembra trasformarsi in un arrivederci, nella luce della Pasqua che ci ha ricordato anche nelle ultime sue parole: «Dio non abbandona mai i suoi figli, soprattutto gli ultimi». Grazie Francesco!

(Coldiretti Vicenza)

Please follow and like us