Dal nostro archivio: “Non chiamateli influencer”

Un articolo del 3 agosto 2025 utile da rileggere dopo la vicenda che ha coinvolto don Alberto Ravagnani.

Preti in pose da modelli mentre indossano un clergyman impeccabile o con i muscoli gonfi da ore di palestra e creatina. Ad uno sguardo superficiale, non di rado incoraggiato da media generalisti e algoritmi, il mondo degli “influencer cattolici” sembra ridursi a questo. Il Giubileo dei missionari digitali che si è svolto il 28 luglio, però, ha offerto uno sguardo molto diverso su chi fa della rete un luogo per annunciare il Vangelo. «La presenza cattolica nel digitale non va stereotipata, non è una babele, ma una rete che accomuna chi oggi vuole farsi pescatore di uomini: presbiteri, laici, religiosi, giovani, seminaristi… Non vanno apprezzati per quanti followers o like raccolgono, ma per il modo nuovo, il linguaggio che utilizzano per trasmettere contenuti di fede». A parlare è Fabio Bolzetta, presidente dell’Associazione Web Cattolici Italiani (Weca).

Alla luce di questo, già sull’appropriatezza del termine “influencer”, legato soprattutto alla capacità di “influenzare” gli acquisti degli utenti o il loro comportamento reale, c’è discussione. «A mio parere il termine “missionario digitale” aiuta a specificare meglio l’impegno ad essere presenti nel mondo del web per evangelizzare questo “sesto continente” – afferma Bolzetta -. Credo che il Giubileo sia stata un’occasione per scoprire e conoscer meglio questa realtà, fatta di voci, di impegno, di testimonianza e di missione e che testimonia la ricchezza della Chiesa».

Tra queste voci, c’è anche quella di un giovane vicentino: «Un missionario digitale è chiamato a parlare del Vangelo anche in ambienti dove il Vangelo è poco presente ». È la definizione che ci offre Nicola Camporiondo, 19 anni, della parrocchia del Santissimo Redentore di Lonigo (Vicenza). Nicola ci parla di fronte all’Auditorium della Conciliazione, poco prima dell’inizio del primo Giubileo dedicato ai missionari digitali e influencer cattolici, che si è svolto a Roma tra il 27 e il 28 luglio.

Nicola è attivo su TikTok e Instagram, dove condivide brevi video, riflessioni e testimonianze «per una Chiesa in uscita, chiamata a parlare di Gesù anche nei posti in cui Gesù sembra non esserci».

Ma ci tiene a precisare che «per testimoniare Dio dietro uno schermo è necessario viverlo nella vita quotidiana». È per questo che continua a servire in parrocchia, collabora con la pastorale giovanile e partecipa alla vita della diocesi. «L’azione digitale – aggiunge – va accompagnata da una presenza concreta. Solo così si resta autentici».

Accanto a lui, anche Mariella Matera – in arte “Alumera” – illustratrice, blogger e creativa legata al Movimento dei Focolari. «“Alumera” è il mio spazio digitale – spiega – dove cerco di raccontare con bellezza e semplicità la luce del Vangelo che ha sconvolto la mia vita. È lì che ho capito che questo amore meritava di essere condiviso».

Mariella non nasconde l’emozione per la partecipazione al Giubileo: «Devo ancora realizzare… ma so che siamo una piccola parola in una pagina nuova della Chiesa. E questo non capita tutti i giorni ». Anche per lei il Vangelo è il cuore di tutto, «un vero manuale di comunicazione». Partecipare a questo Giubileo, dice, «è un’emozione incontenibile, perché sai che sei una piccola parola in una pagina nuova della Chiesa, quindi sei nella storia. E penso che sia qualcosa che non capita tutti i giorni».

Andrea Frison, Andrea Canton

(Diocesi di Vicenza)

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