La via della crescita e dell’internazionalizzazione delle imprese venete passa dall’open innovation

Se ne è parlato nella cornice del Galileo Festival alla tavola rotonda “Oltre i confini dell’azienda” con imprese e professionisti organizzata da CBA insieme con l’Innovation and Technology Law Lab dell’Università di Padova.

Se ne è parlato nella cornice del Galileo Festival alla tavola rotonda “Oltre i confini dell’azienda” con imprese e professionisti organizzata da CBA insieme con l’Innovation and Technology Law Lab dell’Università di Padova.

L’innovazione e la trasformazione digitale costituiscono oggi il driver principale della crescita economica e della competitività. In un tessuto economico quale quello Veneto, caratterizzato da imprese di piccola e media dimensione, ciò comporta la necessità di adottare un approccio collaborativo e aperto.

Se il Veneto marcia più spedito del resto d’Italia con un pil 2018 cresciuto dell’1,1%, anche grazie agli investimenti fissi (più 4,3%) e all’export (63,3 miliardi di euro, +2,8%) soprattutto di meccanica, i metalli, i prodotti del comparto moda e agroalimentare (vino), per proseguire un trend positivo le imprese devono continuare a riorganizzarsi, anche attraverso schemi e modelli nuovi e innovativi come quelli proposti dall’open innovation.

Di questo si è parlato in occasione di Galileo Settimana della Scienza e Innovazione, manifestazione in un territorio che è laboratorio nazionale di eccellenza dell’innovazione, durante una tavola rotonda con imprese e professionisti promossa da CBA insieme con l’Innovation and Technology Law Lab dell’Università di Padova.

L’avvocato Barbara Sartori, partner CBA intervenuta su Gestione contrattuale dell’Innovazione Collaborativa e strutture alternative al tradizionale modello di transazioni M&A: nuovi obiettivi commerciali e manageriali (network agreements, joint venture..) ha commentato: “Il mercato in cui ci troviamo, sempre più competitivo, complesso e technology-driven, impone alle aziende di mettere l’innovazione al centro dei propri piani industriali, adottando strategie di sviluppo efficienti ed efficaci. In tale contesto, i processi d’innovazione non possono più rimanere confinati all’interno del perimetro aziendale, ma devono aprirsi ai contributi provenienti da soggetti terzi, quali centri di ricerca, università, start-up, ma anche clienti, fornitori e persino concorrenti. Open innovation tuttavia non significa libero accesso alla propria tecnologia e alle proprie conoscenze, al contrario, presuppone una maggior consapevolezza dell’importanza degli asset di proprietà intellettuale (marchi, brevetti, modelli, design, copyright, segreti commerciali) e l’adozione di chiare strategie di tutela di essi. La gestione dei diritti di proprietà intellettuale ed in particolare le scelte operate in ordine alla titolarità, alla tutela ed all’accessibilità dei risultati dell’innovazione collaborativa, divengono dunque il fulcro di tutti gli strumenti contrattuali attraverso i quali si strutturano le varie forme di open innovation, a partire dagli accordi di riservatezza, per poi passare agli accordi di ricerca commissionata, di sviluppo congiunto, ai consortium agreement (richiesti per l’attuazione dei progetti europei Horizon 2020), fino alle forme aggregative più stabili delle joint venture e dei contratti di rete”

L’innovazione diventa quindi un obiettivo da perseguire non più solo all’interno del perimetro dell’azienda, ma anche al di fuori di essa, attraverso l’open Innovation, il modello di innovazione individuato dall’economista californiano Henry Chesbrough che prevede l’interazione sinergica di vari player, quali le Università, i centri di ricerca, i fornitori, start-up, e persino gli stessi concorrenti. In questa realtà, così complessa anche dal punto di vista delle relazioni giuridiche, acquisisce un ruolo essenziale l’Innovation Manager, che, a seconda delle specifiche esigenze saprà scegliere lo strumento più adatto al più efficace ed efficiente processo di sviluppo dell’innovazione, attivando ove possibile i fondi per l’innovazione disponibili sia a livello regionale che a livello Europeo

Claudia Sandei, docente di Diritto Industriale e delle Nuove Tecnologie dell’Università di Padova, parlando di Hackathon, Social Media Contest e altri strumenti di innovazione non convenzionale, ha sottolineato il ruolo centrale dell’Università: “Il nostro Ateneo – ha commentato la Professoressa Sandei – ha una lunga storia di collaborazione con le imprese, che si esprime in varie forme: dalle ricerche su commissione ai dottorati in Azienda, passando per la formazione su misura ed ora attraverso gli hackathon. L’auspicio è che nel futuro la sinergia possa coinvolgere sempre più aree di ricerca. Come ITLL, abbiamo all’attivo alcune esperienze importanti di consulenza e formazione legale in ambito digital e puntiamo a rafforzare ulteriormente i rapporti con le Imprese del territorio”.

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