omelie Vescovo – Nel Natale si manifestano la benevolenza, la filantropia, l’umiltà, l’empatia e la tenerezza di Dio per l’uomo

Carissimi, è con gioia ed emozione che vi accolgo così numerosi in Cattedrale per “la Messa di Mezzanotte” del Natale 2019.

Per entrare nel Mistero del Natale che la Liturgia ci fa celebrare, è opportuno che ne inquadriamo l’evento sull’ampio orizzonte della Creazione. Dio ha creato tutto con la sua Onnipotenza di Padre, fonte dell’Essere; con la Scienza del Figlio sua Ragione d’essere, che ha impresso assoluta razionalità in ogni cosa creata; con la Sapienza del suo Spirito che ha dato armonia a quello che giustamente viene definito cosmo, cioè ordine armonioso, micro e macro. E della Creazione Dio rimane il fondamento permanente. Se per ipotesi, se ne dimenticasse anche per un solo istante, tutto rientrerebbe in quel nulla da cui ha creato tutto. A compimento della Creazione e come suo vertice assoluto e insuperabile, “ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza”. Lo ha creato libero! E non poteva che crearlo libero, per essere una persona umana. Purtroppo da sempre l’uomo, abusando della sua libertà, si è allontanato dalla Sorgente della vita e delle relazioni sociali positive, e si è creato una storia di barbarie.

Ma l’uomo sta troppo a cuore a Dio. È la sua opera d’arte, in funzione della quale ha creato l’universo. Di conseguenza, non lo ha abbandonato al suo destino. Ha guardato a lui con benevolenza (eudokìa, in lingua greca; letteralmente significa “pensare bene”). E il motivo è chiaro: Dio apprezza in noi l’opera sua e non si rassegna a perderla. Di qui il senso profondo dell’annuncio dato dall’angelo ai pastori nella notte del Natale: “Pace agli uomini destinatari della benevolenza di Dio”). Ha guardato con senso di filantropia, come ci ha ricordato Paolo nel tratto della lettera a Tito proclamato come seconda lettura. La filantropia di Dio! Dio è amico dell’uomo! Sempre dalla sua parte, perché sua opera d’arte. Ecco Chi è Dio e chi è l’uomo per Dio! Quante immagini di Dio sfocate e false!

Ora, se Dio ha creato anche l’uomo con la sua Onnipotenza, con la sua Scienza e con la sua Sapienza, ha deciso di salvarlo con la sua Umiltà. Dio si è abbassato fino all’uomo, per innalzarlo fino alla dignità di figlio di Dio. Dio si è chinato sull’uomo fino al punto da diventare carne umana, senza perdere la sua natura divina e persino Eucaristia, come frutto del dono di sé nella sua Pasqua di morte e di risurrezione. Del resto, l’umiltà è legge fondamentale dell’amore. Chi ama non disdegna di abbassarsi. Gli risulta naturale. Sant’Agostino annota: se un retore (un avvocato) ha un figlio ancora bambino, non esita a giocare on lui, abbassandosi fino alla grandezza di un bambino. Anzi, pur abituato ad essere sorvegliato nella terminologia forense, si adatta al linguaggio del figlio, non ritenendo disdicevole anche qualche storpiatura di parole, usando il linguaggio del figlio. Annota Agostino: quel padre retore non ha perduto la sua dignità di retore, ma ha espresso la sua umanità di padre. Di fatto, l’umiltà fa grande l’uomo, ne fa risaltare la ricchezza di umanità. E fa stare bene l’umile e le persone che condividono la sua esistenza. Da questo punto di vista, il Natale è la festa dell’umiltà, cioè dell’autenticità di un amore benevolo e amico che sa chinarsi sulle fragilità altrui, mentre impara ad accettare anche le proprie fragilità di essere umano.

Nel Figlio fatto carne, Dio si è abbassato per salvarci da quel sistema di peccato che sta alla radice della storia della barbarie umana. Data l’opportunità, usciamo da una sorta di disagio in cui ci troviamo impantanati quando si enuncia il termine “peccato”. Ha un significato ben preciso, anche dal solo punto di vista etimologico: ciò che pone inciampo all’uomo ai fini di essere compiutamente uomo. E corrisponde ad atteggiamenti precisi che tra essi fanno sistema: ateismo scientista, egoismo, superbia, autoreferenzialità, cattiveria, insensibilità, smania di potere, cupidigia di piaceri, di ricchezze, di successo ad ogni costo, gelosie e invidie, odio e vendetta … Sono tutti atteggiamenti e comportamenti che fanno vivere male, rendendo inumano il vivere individuale e quello sociale. Da questo punto di vista, il Natale è la festa della liberazione dalla schiavitù della disumanità causata dal sistema del peccato.

Precisiamo ulteriormente. Nella persona del Figlio, Dio non si è soltanto abbassato fino alla piccolezza dell’uomo. Si è identificato con ogni essere umano. Con un termine più pregnante, possiamo dire che è entrato in empatia, per condividere cioè la vita di ogni persona, con i travagli, le sofferenze e le speranze dei più di sette miliardi di persone oggi esistenti sul pianeta terra. In ogni persona ha la sua tenda piantata, lasciando però ogni persona libera di aderire a Lui, di lasciarlo dimenticato o di avversarlo. Senza forzature. Ma testimoniandogli quanto gli vuole bene e quanto, comunque, nel dono del suo Spirito, gli fa del bene, anche a sua insaputa. Anche da questo punto di vista, il Natale è la festa dell’umanità intera abitata dal Figlio di Dio fatto uomo e di quell’umanità che mostra tale sensibilità da saper entrare nel cuore delle persone in difficoltà, per condividerne le gioie e le sofferenze. Tra tutte, e con il suo compimento nel mistero della Pasqua, è la festa più universale.

E Dio dimostra una tale empatia verso ogni persona, di qualunque razza e nazione, anche non religiosi o atei ideologizzati e pratici, che proprio nell’abitare il cuore di ognuno, lo tratta con infinita, divina tenerezza. Di tenerezza dai tratti divini abbiamo bisogno tutti, fragili come siamo, fragili dentro come i cristalli, preziosi ma fragili. E nella tenerezza tutto è delicatezza, non solo rispetto. Tutto è carezza, ha cioè il valore di una carezza: uno sguardo dall’arioso sorriso; una parola dolce come una stilla di miele; il gesto di una leggera carezza che sfiora il volto di una persona, come a dirle: “Mi sei cara. Sei per me un tesoro”: Non: “Mi dai fastidio, non ti sopporto più”, cosa che avrebbe l’effetto di un graffio interiore uncinato. In proposito, consentitemi un ricordo personale che ho scolpito nella memoria del cuore. Mio padre si trovava degente in una camera dell’ospedale di Borgo Trento. Venticinque anni fa, circa. Tra fratelli ci alternavamo per l’assistenza di cui necessitava. Una sera, un po’ prima che fossero spente le luci, mi disse, come in un sussulto: “Giuseppe, guarda!”. Di fronte al suo letto giaceva quasi in fin di vita un anziano, accudito dalla moglie. Mi voltai. La moglie, con una tenerezza da far lacrimare di commozione, accarezzava la testa calva del marito, che rispondeva solo con il bagliore degli occhi. Accompagnava il gesto della carezza con “Caro, el me moreto!”. Anche mio padre era commosso, ricordando in cuor suo sua moglie, mia madre Amelia, che solo dal cielo poteva dare a lui una carezza. Quanto fanno bene le carezze e quanto equivale ad una carezza, riservate alle persone care, ai familiari, agli anziani, agli infermi, ai disabili! E quanto sa di tenerezza, da idillio, l’abbraccio di una madre (oggi sempre più anche di un padre) con il suo bambino, nell’atto di sfiorarsi le guance! È quanto è riuscito a rappresentarci l’iconografo russo Vladimir, proprio nella sua “Madonna della tenerezza”. La tenerezza dell’amore è l’idillio dell’amore. Il Natale è la festa dell’idillio dell’amore divinamente umanizzato. Grazie al Natale del Figlio di Dio, che oggi contempliamo adoranti tra le braccia della Vergine Maria. Ecco il mio augurio: sia Natale dell’umiltà, dell’empatia, della tenerezza!

 

 

X Giuseppe Zenti

Vescovo di Verona

 

(Diocesi di Verona)

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