2020 – I miei occhi hanno visto la tua Salvezza

Carissimi Consacrati e Consacrate, liturgicamente la festa Presentazione di Gesù prevale sulla domenica IV del tempo ordinario.

Al centro della scena evangelica di Luca sta l’incontro con il vecchio profeta Simeone. Come successivamente Giovanni Battista, anche lui segnala la presenza del Messia. Giovanni Battista come Agnello; Simeone come Luce apparsa agli occhi: “I miei occhi hanno visto la tua Salvezza, Luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo”.

In questo contesto liturgico, la Chiesa celebra la giornata della vita consacrata. Ad estensione mondiale. E vi è motivata ragione di pensare che la coincidenza con la domenica solleciti i Presbiteri a sviluppare nella stessa omelia adeguate e stimolanti riflessioni sul senso e il valore della vita consacrata nella Chiesa e nel mondo, riconoscendovi una significativa ed efficace manifestazione del Mistero di Cristo nel cuore delle persone che nel dono del suo Spirito Lui ha chiamato e chiama alla vita sponsale con Lui, nella verginità casta.

Mi siano consentite alcune puntualizzazioni in proposito. E partiamo dalla focalizzazione sul valore della castità, contro cui la cultura pagana dilagante ha scatenato delle campagne assurde per ridicolizzarla e svilirla agli occhi del pubblico. Per certi versi stranamente. Castità infatti sta per limpidezza, non inquinamento. Oggi si grida, giustamente, all’urgenza di rendere limpida l’aria e l’acqua disinquinandole a tutti i costi. E ciò in forza della cultura dell’ecologia. In realtà, tutto si vuole casto, eccetto l’amore, oggi paurosamente inquinato di egoismo individualista. La castità non è proprietà riservata dei consacrati/e, ma di ogni forma di relazione interpersonale, a cominciare dal matrimonio. Gli sposi sono chiamati ad amarsi in modo casto, cioè limpido senza alcun frammento di inquinamento. Senza la castità il destino dei matrimoni è la crisi e lo sfascio. Ovviamente, a maggior ragione l’amore sponsale a Dio, in Cristo, da parte di una persona consacrata non può che essere casta. È la verginità stessa, cioè la sponsalità radicale con Cristo, ad esigerla. Sicché noi consacrati siamo legati a Cristo dal dono-impegno-voto di verginità che per natura è casta.

Nella persona consacrata dimora Cristo Sposo

Proprio perché persone, donne e uomini, chiamati alla verginità sponsale casta con Cristo, abbiamo intuito un giorno, e ne prendiamo sempre più coscienza, la singolarità della vocazione a noi riservata, fin dall’eternità, prima della creazione del mondo, per citare un versetto famoso dell’inno cristologico della lettera agli Efesini. La nostra singolare chiamata ci colloca in una condizione ideale per fare giorno dopo giorno l’esperienza “mistica” di Simeone, più in profondità però: non solo teniamo Cristo Messia sulle braccia, ma abbiamo coscienza che Lui abita il nostro cuore. Da Sposo. La nostra è un’esperienza non solo visiva della Salvezza, ma esistenziale-spirituale. In noi si compie una salvezza radicale, attraverso un processo di immedesimazione in Cristo, al punto da poter dire con l’apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio che ha amato me e ha dato se stesso per me … Per me il vivere è Cristo” (Gal 2,20; Fil, 1,21).

La preghiera come anima della vita interiore del consacrato

In noi dunque abita Cristo. In noi agisce nel dinamismo del suo Spirito come il Consacrato del Padre per fare di voi persone consacrate al Padre in Lui. La nostra spiritualità di persone consacrate è una palestra dello Spirito, nella quale ci alleniamo a lasciar posto a Cristo fin nelle midolla del nostro essere, perché nulla sia sottratto a Lui e riservato a satana, al maligno: le sue seduzioni, suggestioni, insidie ci devono tenere allertati, mettere in guardia per non vivere nel compromesso che lascia tristi e inquieti. Gesù è in noi come sposo per tener occupato tutto il nostro essere e combatte in noi contro il maligno che vuole avere la sua parte o la totalità, un po’ alla volta, quando subentra un certo rilassamento della vita spirituale, quando il pregare stesso è alquanto affrettato, distratto e illanguidito. Focalizziamo per un istante l’importanza della preghiera per le persone consacrate. Faccio un esempio: se gente qualunque ha un’occasione di pregare con noi, deve poter intuire il senso e il valore del pregare, sentirsene affascinata e invogliata. È un controsenso che viviamo il momento della preghiera comunitaria con il pensiero altrove, alle occupazioni che seguiranno o alle banalità mondane. Di quale allenamento pertanto abbiamo bisogno? Quanto l’insieme della comunità incide sul pregare vero di ognuno/a! Ci aiutiamo a fare della preghiera un momento di forte sponsalità con Cristo, di immersione nel Mistero dell’Amore trinitario di Dio, di interessamento per la salvezza dell’intera umanità? La preghiera è il nostro “vedere” in volto la Salvezza nostra e dell’umanità. E allora la nostra preghiera non è intimistica, ma segnata dalla passione che lo Sposo Salvatore e Signore ha verso l’umanità intera. Si potrebbe dire che nella preghiera, proprio nel contemplare il volto di Colui che è la Salvezza dell’umanità, noi vediamo con i suoi occhi l’umanità e ci alleniamo ad amarla con il suo cuore, a cominciare dall’umanità incarnata nei confratelli e nelle consorelle! Amandola come è, oltre i sogni. Ogni vita di comunità religiosa è come un porto che mette in sicurezza le imbarcazioni dall’infuriare delle tempeste marine o oceaniche, con cui debbono fare i conti i laici immersi nel mondo. E tuttavia basta anche il fluttuar delle onde di un po’ di superbia, di invidia, di gelosia, di qualche mal di pancia e, come precisa Sant’Agostino nel commento al Salmo 99, fa cozzare tra loro le imbarcazioni, lasciando quanto meno il segno, anche quando non si speronano. Solo allora puoi dire di amare lo Sposo, se in Lui ami l’umanità che incroci, a scuola, negli anziani, nei poveri, nelle missioni, nella propria comunità, dove fratelli e sorelle possono trovarsi in stato di povertà, di bisogno di aiuto. La vera preghiera raffina la sensibilità per intercettare queste situazioni di povertà, segnate forse da stati d’animo di delusione, di crisi esistenziale o vocazionale. Di vera preghiera abbiamo bisogno ognuno di noi per mantenere viva la nostra fede e anche per predisporre il nostro animo a quel “nunc dimittis, Domine, servum tuum”, cioè a quel passaggio da questo mondo all’eternità che giungerà sicuramente, anche se nell’incertezza del quando.

Cristo Luce per illuminare tutte le genti e nostra Luce

Carissimi/e, dichiariamoci fortunati di essere stati raggiunti in modo singolare da Cristo, Luce delle genti, Gloria del suo popolo. Il suo volto per noi è sempre illuminato di luce pasquale. Posiamo giorno dopo giorno il nostro sguardo di fede adorante e di amore sponsale su di Lui, per lasciarci assimilare da Lui, secondo l’aforisma di Agostino nelle Confessioni: “Cresci e ti nutrirai di Me. E non sarai tu a trasformare Me in te ma io trasformerò te in Me”. O per dirla con Paolo: “riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2 Cor 3, 18). Questo dovrebbe essere il senso del vivere affidato a tutti gli uomini. Per noi di vita consacrata è grazia pura. Viviamo per questo. E misuriamo il valore di noi stessi non per le cariche affidateci, bensì appunto per l’umile disponibilità a lasciarci conquistare e trasformare dalla pienezza di vita divina, cioè dalla sua gloria, sul parametro di Maria, la Vergine consacrata al Regno, vissuta per il Regno, quel Regno del Padre che è il suo Figlio, fatto uomo nel suo grembo verginale, dove ha trovato spazio assoluto di crescita, del tutto riservato alla sua crescita. Ottenga anche per noi il dono che il nostro grembo interiore sia spazio consacrato alla sua crescita, fino allo stato di uomo perfetto, fino al punto in cui Cristo sarà il Tutto in me. In noi consacrati.

                                                                                                             X Giuseppe Zenti

Vescovo di Verona

 

(Diocesi di Verona)

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