Santa Maria in Colle: messa con il Vescovo nella festa di san Romualdo

Nella festa di San Romualdo, lunedì 19 giugno, la comunità monastica camaldolese di Santa Maria in Colle (Montebelluna) ha vissuto un momento di fraternità con il vescovo Michele, che ha presieduto la celebrazione eucaristica serale. “Una comunità fondata sull’amore per le Scritture, nutrita dalla costante preghiera dei Salmi, che può offrire una semplice fraternità di monaci e monache che condividono la compagnia degli uomini e delle donne, senza rivalità, senza paura. Può essere uno dei luoghi della nostra Chiesa in cui possiamo tornare a credere che il male è sconfitto, e che i nostri nomi sono scritti nel cielo”: è il ritratto della comunità che il Vescovo ha proposto nella sua omelia, commentando il brano del Vangelo di Luca, sui settantadue discepoli appena tornati dalla missione “pieni di gioia, perché nel nome di Gesù hanno operato liberazione e vittoria. Inviati a due a due, sono riusciti a vivere portando con sé il Signore, lasciandosi guidare, lasciandosi «abitare» da Lui”. L’anticipo di una Chiesa… possibile. “Finita la concorrenza mimetica fra i discepoli; accolto il volto del Padre misericordioso come viene rivelato dal Figlio Gesù; fatto spazio alla fiducia di andare poveri per manifestare sola la ricchezza del Vangelo e la sua potente autorità, essi – ha spiegato mons. Tomasi – sono un autentico anticipo della Chiesa come può essere, se essa vive della fede in Cristo, e soltanto di essa”.
Il loro nome è scritto nei cieli, perché “finalmente vivono e agiscono nel nome di Gesù – ha aggiunto il Vescovo -. Essi vivono il Regno, perché hanno accolto il loro essere figli, e quindi fratelli, sorelle”. Una novità che essi vedono, “perché lo svelamento è ad opera di Cristo Gesù, che assume con decisione il suo cammino verso la Croce”.
Il Vescovo ha descritto San Romualdo come un cercatore di Dio, un uomo che “ha abitato nei Salmi e di essi si è nutrito, con essi si è fatto preghiera lui stesso; ha incontrato la fraternità nei suoi drammi e l’ha vissuta come il luogo dell’incontro con Dio. Il suo è il cammino dei settantadue, la sua gioia è la loro quando ritornano a Gesù”. Un cammino, quello verso la gioia, che possiamo percorrere anche noi, contemplando le Scritture e la vita dei santi e trovando in esse segni e indizi della “gioia di Gesù, e con Gesù”.
“Potremmo essere anche noi quei beati che vedono quanto videro i settantadue inviati. E cioè la concreta reale possibilità – ha sottolineato il Vescovo – di spazi e tempi di vita liberati dalla paura e dal sospetto, dall’egocentrismo, dall’impulso di dover sempre dimostrare qualcosa di nostro e dalla paura di morire, e vissuti invece nella serena, luminosa, fanciullesca e rigenerante certezza, donata dal Vangelo di Cristo, di essere amati perché figli del Padre che è amore, e fratelli e sorelle che in questo trovano la loro essenza, la loro verità, il loro destino”.
Don Firmino Bianchin, priore della comunità, ha ringraziato il Vescovo della sua presenza, sottolineando l’accento dell’omelia sulla via della Scrittura, dei Salmi, e sulla vita fraterna e la comunione. “Una sfida che raccogliamo, dentro alle fatiche quotidiane” ha detto, perché, come ha sottolineato Fiorenza Cecchetto, “la vita fraterna è una sfida all’individualismo, alle autodifese, che si possono nascondere anche nella convivenza. Una sfida a custodire i motivi essenziali per cui siamo qui, e da questi provare a condividere la vita, in una progressiva e inesauribile rivitalizzazione della nostra decisione. Anche la nostra esperienza contiene una forza di testimonianza: nell’ascolto della Scrittura, che sta al centro, nella condivisione semplice con le persone che ci frequentano. Questo in un tempo spezzato tra il prima della pandemia e il dopo… un tempo che è stato di desolazione e di spoliazione, di ridimensionamento di tante realtà”.
La comunità stessa condivide le difficoltà di vita di tante persone “con le quali dialoghiamo e camminiamo. Non siamo differenti o migliori – ha aggiunto -. La differenza non è essere preservati dalle fatiche, ma avere consapevolezza di avere in dono un annuncio e una promessa «altra». Questo dono di speranza a cui siamo legati è anche la responsabilità di una condivisione, che oltrepassa il nostro personale ben-essere. La vita fraterna è dunque la sfida da “rendere visibile e accogliente”: è la risposta a un individualismo stringente, non una fusione delle diversità. Benedizione e fatica al contempo… Lo spazio dell’esperienza di fede, l’autentico scambio di come viviamo secondo il Vangelo, trovando il tempo di relazioni trasparenti e semplici, di stima della sincera ricerca di ognuno. L’accoglienza dei cambiamenti non è la smentita dei fondamenti, bensì lo sforzo di ascoltare e comprendere quanto in essi si svela, come domanda di vita autentica”.

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(Diocesi di Treviso)

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