Comunicato stampa: “Museo Eremitani 2030. Dibattito aperto al pubblico”, l’incontro con il quale l’Amministrazione vuole aprire un confronto con la città sugli sviluppi futuri del più importante polo museale padovano

Sono passati quasi 40 anni da quando nel 1985 dopo un percorso complesso, si portò a termine una operazione molto significativa sul piano delle politiche della cultura: affiancare finalmente alla Cappella degli Scrovegni il nuovo Museo, dando forma ad una vera e propria “insula” museale.
Da allora, soprattutto in questi ultimi anni il Museo Eremitani è cresciuto e oggi i visitatori raggiungono numeri importanti. Per essere un luogo della cultura adeguato all’importanza della città, il Museo Eremitani deve crescere e trasformare la sua identità.
L’incontro significativamente intitolato “ Museo Eremitani 2030 – Dibattito aperto al pubblico” che si svolgerà nel pomeriggio del 31 ottobre, alle ore 17:30 nella Sala del Romanino del Museo Eremitani,  vedrà dialogare storici e tecnici di grande valore, e vuole coinvolgere la cittadinanza in un percorso di ricerca verso il Museo Eremitani del futuro. 
Dopo i saluti dell’assessore Andrea Colasio e l’introduzione della direttrice dei Musei Civici di Padova Francesca Veronese, il dibattito guidato da Elio Armano coinvolgerà il professor Stefano Zaggia, Storico dell’Architettura dell’Università di Padova, l’architetto Vittorio Dal Piaz, del Comitato Mura, l’ing. Vittorio Spigai già professore allo Iuav di Venezia, l’architetto Roberto Righetto, presidente dell’Odine degli Architetti di Padova e il professor Edoardo Narne dell’Università di Padova. 

L’assessore alla cultura Andrea Colasio spiega: “Il nodo qual è?  Oggi come oggi il nostro Museo è un’incompiuta, è monco, è un esempio di architettura introversa. Solo che non è nato come tale, e quindi ci troviamo con una struttura museale che è inadeguata al tempo che stiamo vivendo, e oggi lo è più che mai prima d’ora. Padova oggi è luogo Unesco, è collettore di centinaia di migliaia di turisti che però non siamo in grado di accogliere.  La struttura di accoglienza è primordiale e inadeguata. Cosa si può fare? E’ una questione che ha visto confrontarsi intellettuali e politici per decenni senza trovare soluzione. Noi vogliamo oggi, con questo primo confronto di idee martedì prossimo, a partire da una doverosa ricostruzione storica che Francesca Veronese ha messo a punto, avviare un percorso che l’Amministrazione ritiene strategico e fondamentale per trovare una soluzione concreta e condivisa che ci permetta di offrire ai visitatori un Museo davvero degno di questo nome fin dall’ingresso e dall’accoglienza”. 

La direttrice dei Musei Civici Francesca Veronese sottolinea: “Partiamo da dei dati concreti: noi abbiamo chiuso il 2022 con oltre 350 mila presenze al polo museale degli Eremitani, un numero importante che era già superiore all’ante Covid, quando, nel 2019 avevamo toccato i 338 mila visitatori.  Siamo cresciuti perché siamo stati proclamati sito Unesco, perché la città comunque ha offerte culturali importanti, e quindi la crescita è di tutta la città e non solo del complesso museale.  Ad oggi, per il 2023 l’analisi comparata degli accessi al Museo, mese per mese ci porta a dire che ogni mese ha visto un numero superiore di visitatori rispetto allo stesso mese del 2022. Quindi chiuderemo il 2023 con un numero significativo, ipotizziamo intorno ai 370 mila euro, un trend comunque in crescita consistente.  Con gli spazi che abbiamo stiamo andando verso una sorta di collasso perché la struttura non è concepita per numeri così importanti, basta pensare ai flussi in entrata e in uscita che si incrociano nella stessa porta. Quindi il Museo oggi comincia ad essere inadeguato rispetto alla sua configurazione, era stato pensato con volumi diversi, poi vari motivi hanno portato alla realizzazione attuale, noi abbiamo spazi sacrificati per i beni culturali che custodiamo, ma incominciamo ad avere spazi totalmente non al passo con la crescita che il Museo sta avendo. Ora, se vogliamo pensare di continuare a crescere con il ritmo che la città ha avuto e ha in questi anni, dobbiamo pensare anche alla configurazione del Museo Eremitani, che naturalmente crescerà anche su altri fronti, ma è proprio la sua configurazione che richiede una riflessione”. 

Elio Armano, artista e intellettuale da sempre impegnato nel dibattito culturale della città riflette: “Stamattina ho passeggiato nelle Piazze: è una cosa impressionante, c’è una “foresta” di persone in città. E ho detto “foresta” perché ci sono tantissimi stranieri, e italiani di ogni regione. C’è stato come un salto, del quale forse, noi padovani doc non ci accorgiamo. C’è tutto un fermento e un interesse per questa città che la dice lunga. C’è un grande domanda di cultura che vede Padova una città che offre parecchie cose. Allora tornando al Museo degli Eremitani, abbiamo un Museo bello, straordinario, pieno di eccellenze e di possibilità ma che è inespresso perché non ha la parte strategica, per scaramanzia non lo chiamiamo avancorpo perché sennò si apre una querelle senza fine, però ci sono tutti i servizi da realizzare. Gli manca una gamba fondamentale, che è quella degli accessi. Dobbiamo confrontarci senza ideologismi, senza evocare mostri su quale potrebbe essere una soluzione intelligente all’altezza dei tempi che stiamo vivendo, con una città con ben due siti Unesco,  così come è non va bene, il Museo va ripensato.  La cosa che mi ha sempre fatto male è la tendenza del mondo culturale a dividersi in gruppi contrapposti. Non fare mai un gioco di squadra. Allora, se posso esprimere un desiderio e una raccomandazione, da vecchio padovano, davanti a questo buco nero che è l’assenza del completamento del Museo, dobbiamo tutti fare gioco di squadra, dalle forze politiche, al mondo della cultura. Dobbiamo fare un gioco di squadra per finire il Museo, per finire questa struttura e offrire questa struttura fondamentale alla città che cambia, che tra poco tempo diventerà un’altra cosa. Come offriamo a tutti questi nuovi utenti, una “macchina museale” che sia all’altezza di quello che Padova è adesso e quello che diventerà nel futuro?”. 

Un po’ di storia per capire da dove partiamo e come siamo arrivati ad oggi

Dall’Unità d’Italia all’acquisto della Cappella da parte del Comune di Padova

Nel 1866 Padova veniva annessa al Regno d’Italia. Nell’adunanza del Consiglio Comunale di Padova del 28 luglio 1866, la prima dopo l’abbandono della città da parte degli Austriaci, Podestà conte De Lazara, venivano deliberate iniziative di forte rilevanza politica e culturale. Tra queste ultime veniva nominata una Commissione con il compito di studiare e proporre un progetto di prestito per l’esecuzione di “importanti opere comunali” e, su pubblica sollecitazione soprattutto di Andrea Gloria, al punto 11 era previsto “l’acquisto dell’Arena per erigervi la fabbrica della Pinacoteca e il Museo”. Inizia così a delinearsi l’ipotesi di costruire una sede nuova e appropriata per il Museo accanto alla Cappella degli Scrovegni, in alternativa ad altre soluzioni all’epoca valutate, quali per esempio l’ex Caserma del Santo. Al dibattito che ne segue partecipa con convinzione anche l’architetto Pietro Selvatico che, fieramente contrario all’ipotesi Caserma del Santo, sosteneva vivacemente l’opportunità di edificare il nuovo Museo a fianco della Cappella dell’Arena. “Tra Giotto e Mantegna” diviene quindi il leitmotiv con cui si affronta il tema della nuova collocazione del Museo patavino, ma molti anni ci vorranno, e non pochi col pi di scena, prima che il Comune riesca effettivamente ad acquisire la proprietà dell’area mettendo al riparo la Cappella dal rischio della dissoluzione. Sarà infatti necessario attendere il maggio 1880 quando, con una delibera all’unanimità, il Comune procede all’acquisto della Cappella, grazie agli sforzi congiunti dell’assessore Antonio Tolomei, dell’avvocato Giacomo Levi Civita e di Andrea Gloria. Ma ancora più di cent’anni dovranno passare, con un susseguirsi di polemiche, prima dell’inaugurazione del nuovo Museo in quell’area.

Dagli anni ’30  con il ritorno dell’idea di Pietro Selvatico al Piano Regolatore di Piccinini del 57

Nel 1937 l’allora direttore del Museo, Andrea Moschetti, invia al Podestà una relazione per lamentare l’esiguità degli spazi del Museo al Santo e ritorna a sua volta sul vecchio sogno di Selvatico, ricordando come gli spazi del cd Distretto Militare (ovvero del convento degli Eremitani) potessero essere funzionali a ospitare il Museo, tanto più che “lì accanto sorge la Cappella degli Scrovegni, di proprietà comunale e dall’altro lato la Chiesa degli Eremitani con la cappella mantegnesca degli Ovetari” e si sarebbe così venuto a creare un “mirabile centro artistico”. Il Comune, negli anni 1950-1952, avvia una trattativa con il Santo per la restituzione degli spazi adibiti a sede museale e contestualmente per l’acquisto della “Caserma Eremitani” dal Demanio militare. L’idea del possibile spostamento del Museo nell’area degli Eremitani emerge nuovamente dal piano regolatore dell’arch. Luigi Piccinato del 1954-1957.

Dal concorso del ‘61, alla demolizione dell’ex convento fino al primo progetto di un Nuovo Museo

Si giunge così al 1961, anno in cui l’Amministrazione decide di bandire un concorso di idee per la formazione di un piano particolareggiato della zona compresa tra Corso Garibaldi, via Morgagni, via Altinate e si prevede la possibilità di costruzione di un nuovo museo su una superficie equivalente a quella del convento. È così che ha inizio una delle operazioni più distruttive che la città abbia subito: si iniziano cioè ad abbattere i fabbricati che delimitavano il fianco sinistro del sagrato della chiesa degli Eremitani. Un’operazione progressiva e inizialmente inarrestabile, che porta tra il 1963 e il 1965 alla demolizione dell’edificio del convento addossato alla parete nord della Chiesa, un edificio “in stile boitiano” che nell’ultima fase era appartenuto alla caserma Gattamelata (il cd Distretto Militare). Tra l’agosto e l’ottobre del 1966 la Giunta e il Consiglio deliberano di conferire all’architetto milanese Franco Albini l’incarico di consulenza per il problema del Museo e di assistenza per la redazione di un concorso di idee che ha come fulcro la nuova pinacoteca. Il progetto vincitore reca la firma di Maurizio Sacripanti ed è un progetto avveniristico, che inserisce tra il chiostro nord e via Porciglia “un grande corpo di cristallo a struttura metallica composto da dieci ponti liberi sovrapposti sostenuti da quattro sistemi di portali a piedritti diagonali”. Un’idea di fronte alla quale il direttore di allora, Alessandro Prosdocimi, avanza alcune perplessità “per lo spaesamento delle opere”. Di fatto il progetto non trova neppure l’approvazione del Consiglio superiore delle Belle Arti e il 18 dicembre del 1968, un po’ in seguito ad alcune incongruenze emerse dal bando, un po’ per le resistenze museografiche, anche il Consiglio comunale boccia il progetto Sacripanti.

Dal progetto di Albini nel ‘69, con quello che sarà chiamato “avancorpo” fino all’inaugurazione del Nuovo Museo nel 1985

A quel punto l’anno successivo, il 1969, il Consiglio comunale conferisce un incarico diretto a Franco Albini per portare a termine l’intero progetto di sistemazione del complesso conventuale da adibire a museo, con i relativi annessi. Il progetto di Albini investe tutti gli spazi disponibili –dai chiostri del convento alle palazzine attigue – che vengono ripensati nella loro complessità e destinati a funzioni specifiche e integrate. Per l’ingresso, la sala conferenze e le mostre temporanee viene progettata una struttura ad hoc, capiente e monumentale, sul lato sinistro della chiesa degli Eremitani, sviluppata su due piani, con scala esterna di collegamento tra i piani e tetto piatto: il cosiddetto “corpo di ingresso”, destinato a suscitare in città un dibattito acceso e dai toni aspri, che di lì a pochi anni approderà in tribunale, ma resterà privo di una vera conclusione. Qui ha inizio infatti l’annosa ed estenuante vicenda di un’architettura incompiuta. Di un Museo che era stato pensato con spazi adeguati alla sua importanza, che non sono mai stati realizzati. Di un Museo che doveva essere dotato di un ingresso monumentale, che non ha mai avuto. Da qui hanno origine molte delle criticità con cui oggi affannosamente ci confrontiamo: la cronica mancanza di spazi, l’incompletezza espositiva del Museo Archeologico, la congestione con cui sono esposte le collezioni della pinacoteca sono solo alcuni degli esempi. Il sogno di Selvatico, a distanza di cent’anni, si stava avviando a prendere finalmente forma, ma senza trovare quella compiutezza che sarebbe stata necessaria.

Dall’inaugurazione ai processi, fino alla demolizione dello scheletro dell’avancorpo nel 1993

Nell’aprile del 1985 viene inaugurato il nuovo Museo Eremitani, così come lo conosciamo oggi. Era dotato di un avancorpo in metallo e cemento per il quale costruttori e politici che avevano dato parere favorevole alla costruzione vengono imputati di reato “di costruzione in assenza di concessione” e di aver deturpato la chiesa. L’anno successivo la vicenda dell’avancorpo ha il suo finale surreale: nel dicembre 1987 viene dichiarato abusivo con obbligo di abbattimento. Nel maggio del 1998 la Giunta bandisce un concorso di idee per il nuovo ingresso del Museo (delibera n. 354), poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Ma da allora nessun nuovo ingresso è stato mai realizzato. Il contestato avancorpo è rimasto lì per anni ad arrugginire alimentando polemiche, fino alla definitiva abolizione operata dalla Giunta Zanonato nel 1993.

Il Museo Eremitani oggi coni suoi successi e le sue criticità

In questi anni il Museo, grazie alla contigua Cappella degli Scrovegni, ha potuto beneficiare di un interesse crescente da parte dei visitatori. Alla luce di tutto questo si rende necessaria e opportuna una riflessione sull’identità del Museo e sulla sua stessa funzionalità, per individuare un nuovo assetto, più rispondente alle prerogative e alle esigenze di un Museo moderno, sempre più integrato nel processo di costruzione di Padova come grande città d’arte europea e come rilevante sito UNESCO. Il Museo è quindi oggi chiamato a una metamorfosi radicale: da Museo introverso deve diventare un Museo estroverso, accogliente e con un ingresso monumentale in dialogo con piazza Eremitani, dove auspicabilmente possa ritrovare il suo volume spaziale, declinato nelle forme che si riterranno più opportune, il corpo di ingresso. Oggi si impongono perciò delle scelte strategiche, che dovranno accompagnare nei prossimi anni un processo di ridisegno radicale del complesso museale. Il Museo dovrà sempre più caratterizzarsi come grande hub a servizio delle altre “stazioni” culturali della città, a partire dalla urbs picta che con la Cappella degli Scrovegni qui ha il suo baricentro.

(Comune di Padova)

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