“Nella sofferenza, lasciamo spazio a Colui che dà consolazione e speranza”: l’invito del Vescovo alla messa nella Giornata del malato

Martedì 11 febbraio, nella festa della Madonna di Lourdes, giornata mondiale del malato, il vescovo Tomasi ha presieduto la celebrazione eucaristica nel santuario trevigiano di Santa Maria Maggiore gremito di fedeli. Hanno concelebrato diversi sacerdoti diocesani, oltre ai padri Somaschi.

Un’omelia declinata sulla speranza, che quest’anno giubilare invita a vivere in modo speciale. Commentando la profezia di Isaia che è stata proclamata, il Vescovo l’ha definita “un annuncio risuonato nella prova, nella sofferenza e nel dolore dell’esilio, che è stato sradicamento dalla patria, povertà, disagio estremo, rischio quotidiano di morte. In questa situazione, il profeta ha fatto risuonare una parola forte di speranza, che allargava il cuore, rinvigoriva le mani, rimetteva ancora una volta in cammino: Rallegratevi […], esultate […], sfavillate”. La parola di conforto che vuole suscitare speranza richiede fiducia, richiede l’immagine viva della meta del ritorno: Gerusalemme. E poi il profeta ricorre alle immagini e alle esperienze più originarie e profondamente umane di fede – una costante della persona umana di tutti i tempi – fede che diventa essenzialmente fiducia, affidamento, calore di una presenza”.La forza di Dio è la tenerezza di una madre che stringe il bimbo al suo seno, che lo porta in braccio, se lo tiene sulle ginocchia e lo accarezza con amore, sottolinea Isaia. “Ecco l’esperienza che il profeta promette oggi a chi è nella prova, nella sofferenza. A chi è colpito dalla malattia, a chi è provato dalle conseguenze dell’età che avanza, a chi soffre per solitudine o l’abbandono. Fiducia. Affidamento. Evocazione sicura di un’immagine di speranza che deve essere legata alla situazione concreta di ciascuno: una guarigione, un ritorno di una persona cara, una riconciliazione attesa da troppo tempo, un tempo condiviso con una presenza amica. Ecco alcune delle declinazioni di «Gerusalemme» per la nostra vita”.

Mons. Tomasi ha ricordato il valore del prendersi cura reciprocamente, invitando a vivere le beatitudini e a portare gli uni i pesi degli altri. Non limitandoci, però, alle nostre sole forze. Importante la sua sottolineatura del valore del nostro sistema sanitario. “Fidiamoci delle conquiste della scienza e della medicina, e ringraziamo per ogni sforzo messo per la salute, per ogni ricerca che aumenta le nostre conoscenze, per ogni sforzo tecnologico che aumenta la capacità di affrontare ogni malattia. Ringraziamo per una politica di carattere sociale che ha saputo pensare e realizzare un sistema sanitario universale aperto a tutti. Ma allarghiamo lo sguardo, eleviamolo ampliando gli orizzonti, cerchiamo di incrociare tutti gli sguardi sino ad incontrare quello di Dio”.

Ed ecco, l’invito a “cercare Dio negli occhi degli ammalati, cerchiamolo negli occhi che a loro si avvicinano, dei parenti, degli amici, degli operatori socio-sanitari, negli sguardi degli infermieri, dei medici. Lasciamo che si apra quello spazio in cui sentiamo presente il Risorto che è tra noi, il Cristo medico delle anime e dei corpi. Lasciamo spazio a Colui che dà consolazione e speranza, Colui che muove e che tocca nel profondo della nostra esistenza, là dove rimane, sempre e comunque, la traccia indelebile della nostra eternità, per la quale siamo stati creati, voluti ed amati. Il luogo della sofferenza diviene luogo di rivelazione”. “Nulla è impossibile a Dio. Nulla ci è impossibile assieme a Lui, e con Lui insieme, tra noi. Alcuni guariranno, alcuni troveranno il balsamo della consolazione. Alcuni saranno forti di speranza, e vivranno la vita con l’intensità piena e sorprendente di chi sa e che sente che ogni istante dell’esistenza è momento di eternità”.

Prima della benedizione, il vescovo ha recitato la preghiera a Maria davanti all’immagine della Madonna granda:

PREGHIERA A MARIA

O Maria, madre nostra,

siamo «pellegrini di speranza»,

diciamo convinti, nel Giubileo:

ma forse amiamo restare fermi

nelle abitudini, nei ritmi di sempre.

Talvolta osiamo solo piccoli sogni,

modeste attese che non danno speranza.

Tu, giovane Donna raggiunta dal Padre,

con l’Angelo che ti sconvolge la vita.

Accetti l’annuncio di essere Madre,

Madre prescelta del Figlio di Dio,

e subito balzi e ti metti in cammino:

tu sì, mossa da vera speranza.

E incontri Elisabetta e cantate di gioia,

poetesse del nuovo che irrompe tra noi,

e il suo bimbo, nel grembo, sussulta di gioia

il nuovo e l’antico che danzano insieme

e donano al mondo speranza di vita.

E poi sempre in disparte ma sempre presente

non ti ferma la spada che ti trafigge il cuore,

l’amore del Figlio ti fa sopportare

ogni prova con Lui, e tu resti fedele.

E sei testimone della sua vita nuova,

che splende gloriosa nella Risurrezione,

speranza contro ogni speranza ci dona, per sempre:

la vita è più forte e sconfigge ogni male.

Se tu ci accompagni, ci guidi, ci prendi per mano,

vivremo speranza, e davvero in cammino,

pellegrini convinti, anche se stiamo in casa,

perché in traversata dal buio alla luce,

sapendo che sempre ci conduci al Figlio

pienezza di vita, fonte di ogni speranza

che vince il male e sconfigge la morte.

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio.

Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova,

e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.

L’omelia integrale:

11 febbraio 2025 – 33a Giornata mondiale del malato

Celebrazione eucaristica – Santa Maria Maggiore – Treviso

Omelia del Vescovo Michele

La profezia di Isaia che abbiamo ascoltato anche quest’anno è un annuncio risuonato nella prova, nella sofferenza e nel dolore dell’esilio, che è stato sradicamento dalla patria, povertà, disagio estremo, rischio quotidiano di morte. In questa situazione il profeta ha fatto risuonare una parola forte di speranza, che allargava il cuore, rinvigoriva le mani, rimetteva ancora una volta in cammino:

Rallegratevi […], esultate […], sfavillate”.

La parola di conforto che vuole suscitare speranza richiede fiducia, richiede l’immagine viva – è richiamata più e più volte, nel testo – della meta del ritorno: Gerusalemme.

E poi il profeta ricorre alle immagini e alle esperienze più originarie e profonde umane di fede – una costante della persona umana di tutti i tempi – fede che diventa essenzialmente fiducia, affidamento, calore di una presenza. È una mano afferrata con forte delicatezza, un abbraccio che vuole far fuggire la paura, uno sguardo che vuole sconfiggere l’angoscia:

sarete allattati e vi sazierete

al seno delle sue consolazioni;

succhierete e vi delizierete

al petto della sua gloria.

[…]

Voi sarete allattati e portati in braccio,

e sulle ginocchia sarete accarezzati.

Come una madre consola un figlio,

così io vi consolerò”.

La forza di Dio è la tenerezza di una madre che stringe il bimbo al suo seno, che lo porta in braccio, se lo tiene sulle ginocchia e lo accarezza con amore.

Ecco l’esperienza che il profeta promette oggi a chi è nella prova, nella sofferenza. A chi è colpito dalla malattia, a chi è provato dalle conseguenze dell’età che avanza, a chi soffre per solitudine o l’abbandono. Fiducia. Affidamento.

Evocazione sicura di un’immagine di speranza che deve essere legata alla situazione concreta di ciascuno: una guarigione, un ritorno di una persona cara, una riconciliazione attesa da troppo tempo, un tempo condiviso con una presenza amica. Ecco alcune delle declinazioni di «Gerusalemme» per la nostra vita.

Ma possiamo davvero evocare queste immagini? Non rischiamo forse di illudere noi stessi, o di illudere proprio i più deboli e fragili, che vedrebbero aumentata – e non lenita – la loro sofferenza? E cosa dire nelle situazioni di morte di qualcuno che ci è caro: che immagine può essere sollevata, che speranza evocata?

Fratelli, sorelle, se il fondamento delle mie parole di consolazione, se la verità delle immagini che posso proporre fosse la mia volontà, la mia capacità, la mia forza, il mio impegno, allora sarebbe meglio tacere: senza rinunciare ad accompagnare e sostenere, ma senza farsi troppe illusioni. Non sarebbe poco, certamente. Ma può essere tutto qui?

No, non limitiamoci a noi, alle nostre forze, ai nostri orizzonti, per quanto ampi questi siano. Fidiamoci, certo delle conquiste della scienza e della medicina, e ringraziamo per ogni sforzo messo per la salute, per ogni ricerca che aumenta le nostre conoscenze, per ogni sforzo tecnologico che aumenta la capacità di affrontare ogni malattia.

Ringraziamo per una politica di carattere sociale che ha saputo pensare e realizzare un sistema sanitario universale aperto a tutti.

Ma allarghiamo lo sguardo, eleviamolo ampliando gli orizzonti, cerchiamo di incrociare tutti gli sguardi sino ad incontrare quello di Dio.

Sì, cerchiamolo negli occhi degli ammalati, cerchiamolo negli occhi che a loro si avvicinano, dei parenti, degli amici, degli operatori socio-sanitari, negli sguardi degli infermieri, dei medici. Lasciamo che si apra quello spazio in cui sentiamo presente il Risorto che è tra noi, il Cristo medico delle anime e dei corpi. Lasciamo spazio a Colui che dà consolazione e speranza, Colui che muove e che tocca nel profondo della nostra esistenza, là dove rimane, sempre e comunque, la traccia indelebile della nostra eternità, per la quale siamo stati creati, voluti ed amati.

Il luogo della sofferenza diviene luogo di rivelazione.

E anche senza accorgercene, quasi senza volere – uniti nell’abbraccio dell’amore infinito di Dio – inizieremo a «rallegrarci, ad esultare, a sfavillare». Nulla è impossibile a Dio. Nulla ci è impossibile assieme a Lui, e con Lui insieme, tra noi. Alcuni guariranno, alcuni troveranno il balsamo della consolazione. Alcuni saranno forti di speranza, e vivranno la vita con l’intensità piena e sorprendente di chi sa e che sente che ogni istante dell’esistenza è momento di eternità.

Tutti potremo camminare, nella certa speranza che nel Cristo risorto siamo in comunione con chi ci ha preceduto nella vita e nella fede e che loro sono vivi, di una vita che anche a noi sarà donata.

Qualsiasi cosa vi dica, fatela”, ha detto Maria santissima ai servi prima che Gesù trasformasse l’acqua della purificazione nel vino buono della gioia. Senza questa indicazione e senza questa obbedienza non avremmo avuto il primo dei segni della divinità di Cristo, del suo amore culminato nel dono di sé sulla croce.

Quali dimensioni sconfinate di bene, di pace, di speranza e di vita ci rimarrebbero precluse, se noi non seguissimo l’invito della nostra Madre celeste, se non facessimo anche noi quanto Gesù ci dice. Quale che sia la resa che Gesù ci chiede.

Seguiamolo, sulla via della Croce, portando anche la nostra croce.

Portiamo i pesi gli uni degli altri.

Preghiamo senza stancarci.

Amiamo il prossimo come noi stessi, e Dio con tutte le nostre forze.

Vendiamo tutto ciò che abbiamo, diamolo ai poveri, e seguiamolo.

Viviamo le beatitudini.

Ci rallegreremo, esulteremo, sfavilleremo.

(Diocesi di Treviso)

Please follow and like us