L’annuncio della morte di papa Francesco, pochi minuti prima delle 10 della mattina di Pasquetta, ci ha colti tutti impreparati. Certo eravamo consapevoli, dopo i lunghi giorni di ricovero al Gemelli, che la sua salute era fragile e l’età avanzata. Il giorno prima, seppur visibilmente affaticato, aveva impartito la benedizione dalla Loggia di San Pietro, augurato con la consueta familiarità Buona Pasqua! e salutato con affetto la folla presente in piazza San Pietro.
Nessuno pensava che la mattina dopo, nel Lunedì dell’Angelo, il Pontefice venuto “dalla fine del mondo” avrebbe reso l’anima a Dio. Eppure proprio in questo modo di uscire dalla scena di questo mondo, in questo transito “pasquale”, possiamo vedere un segno di conforto e di speranza. Chi argomentava sulle possibili dimissioni del Papa, chi teme va una sua lunga infermità o incapacità di governare la Chiesa, ancora una volta è risultato ragionare secondo logiche troppo mondane.
Il dolore per la perdita del Papa dei poveri, della misericordia e della pace, trova conforto nella luce della Pasqua: Gesù Risorto ha preso con sé il suo Vicario. Le preoccupazioni per il futuro della Chiesa si dissolvono nella certezza che essa, comunque, sarà guidata dalla Provvidenza nella forza vivificante dello Spirito Santo.
Nel suo messaggio Urbi et Orbi, divenuto ora una sorta di testa mento spirituale, Francesco, dopo aver ricordato tutte le guerre e le sofferenze che oggi affliggono il mondo e dopo aver richiamato alle proprie responsabilità i potenti della terra e alla carità fraterna tutta l’umanità, aveva concluso riaffermando la fede incondizionata in Gesù Cristo e nella “vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte”. Da quella vita, la vita stessa di Dio, prega ora per noi Francesco, perché il mondo ritrovi pace e anche nella Chiesa crescano fiducia e fraternità.
Alessio Graziani
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